giovedì 31 gennaio 2013

I musi della Parietaria 8: Christopher Eccleston

Il musO oggi è in ritardo, ma, si sa, i divi si fanno attendere. 
Quello che vi presento è uno dei miei attori preferiti: un ottimo professionista. (E, sì, è anche il mio Dottore).
L'ho visto per la prima volta in Jude diversi anni fa - film che mi ha angosciato moltissimo, tanto che lo ricordo ancora adesso - e l'ho incontrato ancora in The Others. Credo che, per vedere lui (e Tom Hiddleston), mi sorbirò perfino il secondo Thor (no, quel bietolone di Hemsworth non ci entra nei musi!) e questo è tutto dire.


martedì 29 gennaio 2013

La prima top 5 della Parietaria: le 5 automobili che vorrei guidare (potendo)!

Non sono una patita di macchine, non statemi a parlare di cilindri, iniezione e carburatori e quellecosellì, ma guidare mi piace molto.
Preferisco farlo da sola, però: se si verifica l'allineamento cosmico dolce metà (o mio padre) sul sedile del passeggero e me medesima dietro il volante, ha luogo uno strano effetto spazio temporale. No, dico davvero: loro tornano indietro nel tempo e sono fermamente convinti che ancora debba sostenere l'esame di pratica. E che sia loro dovere insegnarmi come si fa.
Comunque - porcacciadiquellamiseriahodivagatodinuovo - le automobili mi piacciono. Non sono un'esperta, nel senso che io giro la chiave e quella deve fare la brava e partire (altrimenti mi attaccherò disperata al cellulare), però mi piacciono. E quella che segue è la top 5 delle macchine che vorrei guidare, se solo esistessero.
Al quinto posto un mito dell'infanzia: la Ford Gran Torino Zebra 3 di Starsky e Hutch. (Guidarla sarebbe fantastico, parcheggiarla, lunga com'è, molto meno).
Un'altra muscle car occupa il quarto posto. Saltava fossi che era una bellezza, se volevi entrarci dovevi passare dal finestrino e il clacson suonava lo Yankee Doodle... Il generale Lee!
Terzo posto. Nera. Lucida. Aggressiva. Ipertecnologica. Filava da dio. E parlava anche. Per KITT avevo una vera passione: di Michael Knight non me ne fregava una ceppa, l'avrei espulso con il seggiolino eiettabile e mi sarei tenuta la macchina. (Ma se, invece della Pontiac, avessero usato una Corvette sarebbe stata davvero da urlo!)
Ditemi chi non ha mai sognato di guidarla superando le ottantotto miglia orarie con il flusso canalizzatore a piena potenza: al secondo posto la DeLorean DMC-12. (E poi... guardate le portiere ad ala di gabbiano! Sono o non sono una bellezza?)

E siamo arrivati in cima. Potendo permettermela, questa me la comprerei. No, non è un'auto sportiva. Non brucia i semafori e non vi scompiglia le chiome se vi passa vicino a razzo. Ma va ovunque. E quando dico ovunque, intendo proprio ovunque.
Quando l'ho vista comparire in scena mi sono innamorata.
Primo posto: Land Rover Defender Tomb Raider Edition.

lunedì 28 gennaio 2013

Questione di competenze.

Sapete qual è una delle cose peggiori che possono capitarvi se fate il geologo?
Il vecchietto di cantiere.
Anche lui ha incontrato il vecchietto di cantiere.
Auguratevi di non incontrarlo mai. Auguratevelo in generale, anche se non siete geologi.
Il vecchietto di cantiere ti si attacca alle costole e, mentre sei lì intenta all'opra (il che vuol dire spesso al freddo, all'acqua, sporca di grasso e con il motore del penetrometro che fa i capricci, o il sismografo che ha deciso di dare forfait che, se non fosse che non smadonni per principio, smadonneresti  in multilingue come manco la tipa dell'esorcista solo che lei usava un idioma alla volta, tu tutti quanti insieme), ti rende edotta. 
Sul posto migliore per posizionare lo strumento, sul modo migliore per condurre la prova (che non ha mai visto prima, ma è uguale), sull'inutilità della prova stessa, datosi che per migliaia di anni la gente ha costruito senza geologi e si potrebbe benissimo continuare così (è a quel punto che gli invii un sentito, anche se interiore, vaffanbagno).
Perché il vecchietto di cantiere sa. Tu, vent'anni di studi alle spalle, laureata in corso, abilitazione a tempo di record e quasi dieci anni di professione, non sai un accidente. Ma meno di zero.
Il vecchietto di cantiere, se ancora non l'avete capito, rientra in una delle categorie più moleste della specie umana: il tuttologo.
Chi è il tuttologo?
Chi è il tuttologo?
È quello che non ha mai dato un calcio al pallone, ma allena meglio di Bearzot.
È quello che non ha mai recitato, ma il metodo Stanislavskij gli fa una pippa.
È quello che non ha mai buttato giù una riga, ma il tuo romanzo l'avrebbe scritto senz'altro meglio.
È quello che non ha mai lavorato in vita sua, ma gestirebbe la tua attività come tu non saprai fare nemmeno fra (a esser generosi) un migliaio di anni.
Probabilmente, è quello che, a cena in pizzeria, si sente in dovere di andare dal pizzaiolo e dargli lezioni su come preparare una margherita.
Cosa rende tuttologo un individuo bipede appartenente alla specie Homo Sapiens Sapiens?
Tre caratteristiche fondamentali.
Primo: purtroppo per lui (ma soprattutto per noi), è convinto di essere persona di ampie vedute, vasta esperienza in quelle che una volta si chiamavano "cose del mondo" e - ma perché no? - profondissima cultura, che si compiace di immaginare condita dai guizzi di un'intelligenza vivace come un tursiope in mare aperto.
Secondo: da persona d'animo buono e colmo di generosità, ritiene giusto dividere il Dono Divino™ dell'infinita intelligenza+cultura+sensopratico+quellochevoletevoitantoèuguale con l'intero universo creato. E lo fa così, aggratis. Cosa gliene viene in tasca? Nulla. Il tuttologo crede in un mondo migliore e si impegna moltissimo per costruirlo. Che vi piaccia o no. E non dimenticate di ringraziare.
Terzo: il tuttologo non ipotizza. Il tuttologo afferma
In tono perentorio e con adamantina sicumera enuncia verità assolute, sorvolando, a guisa di colorata farfalla, sul concetto di "soggettività" (altrimenti detta "opinione personale").

E adesso ho una confessione da fare. Bisogna essere onesti, nella vita.
Credo nelle competenze.
Credo che ognuno abbia il suo campo di specializzazione e a quello debba attenersi, senza scorrazzare in tutte le branche dello scibile come Gengis Khan alla testa delle sue orde. Facciamo a capirci: interessarsi a una molteplicità di argomenti differenti va benissimo. Spacciarsi per esperti quando non lo si è, invece, molto meno.
Lasciando perdere il ridicolo implicito nell'insegnare ad altri qualcosa che non si sa fare o che non si conosce (purtroppo in questo paese è una costante), c'è il rischio di incocciare qualcuno che esperto lo è davvero. Il che si tradurrà in una figuraccia di proporzioni bibliche.
L'esperto si divertirà un mondo. Il tuttologo di turno se lo sarà ampiamente meritato (ma no, non imparerà dall'esperienza. Scordatevelo, vi ho già capiti).
Io?
Io sarò in prima fila a godermi lo spettacolo con Coca Cola e secchiello gigante di popcorn.

giovedì 24 gennaio 2013

I musi della Parietaria 7: Jeff Goldblum

Costui! Oh, costui!
Qualcuno ha detto Jurassic Park (sì, anche il secondo, ma quello faccio finta che non esista)? 
E poi lo splendido Il grande freddo (favolosa colonna sonora, by the way), Silverado, Tutto in una notte, Independence Day (che è uno schifo di film, ma il suo personaggio è uno dei pochi che si salvano. Non come il presidente degli Stati Uniti che sale su un caccia e bombarda gli alieni, cielo, qualcuno mi uccida ora!), La mosca (no, non l'ho visto, mi spaventa il solo pensiero) e un sacco di altri film, più o meno memorabili (sì, l'orrendo Le ragazze della terra sono facili, con un misconosciuto Jim Carrey).
E lo so che sono passati vent'anni, ma vi lascio la foto come Ian Malcolm, il personaggio più fico sia del libro che del film (di nuovo, faccio finta che il seguito non esista).

mercoledì 23 gennaio 2013

It's a Man's Man's Man's World.

Il commento che Bruno ha lasciato ieri al post su Battlestar Galactica mi ha fatto riflettere. In sostanza, lui dice che Kara Thrace gli è sempre stata antipatica. Siamo in due.
E non solo la trovo antipatica, ma, come ho detto, cliché.
Parliamone, di questo cliché.
Per millenni, le donne hanno ricoperto il ruolo di moglie e madre. Sono state trofei di guerra, merce di scambio, cemento per alleanze. Nella letteratura, così come nella vita, l'andazzo era quello: dovevano essere difese, salvate, guidate. Principesse e compagnia cantante, per intenderci. (Le uniche che uscivano da questi schemi erano accusate di essere streghe, o puttane, o comunque persone poco raccomandabili.)
Eccezioni di altro tipo c'erano già in tempi antichi - basti pensare alle Amazzoni - ma erano appunto questo: eccezioni.
Lo standard è: la donna sta a casa e bada ai figli e al focolare, l'uomo procaccia il cibo.
Da un certo punto in avanti, le cose hanno cominciato a cambiare. E, limitiamoci strettamente alla narrativa, le donne hanno iniziato ad avanzare al centro della scena dimostrando di essere molto più che un "oggetto", un "pretesto" per l'azione, o un premio. Il che - attenzione perché su questo ci torno dopo - non significa aver in qualche modo fregato all'uomo il suo ruolo. 
Vi faccio un paio di esempi: Jo March (anche le altre sorelle, in realtà, ma lei è quella che spicca di più) ed Elizabeth Bennett. Piccole Donne data 1868-69 (uscì in due volumi) e il celeberrimo Orgoglio e Pregiudizio 1813.
Le due eroine che ho citato sono indubitabilmente femmine, specie Elizabeth. Non si sostituiscono all'uomo come "procacciatore di cibo e responsabile della sopravvivenza" (in questo senso, Jo è molto più emancipata). Rivendicano più spazio per le proprie opinioni, il diritto di decidere per sé della propria vita, che si tratti di sposare l'uomo amato in barba alle convenzioni o di pubblicare racconti su un giornale e mantenersi da sole, senza "l'obbligo morale" di fare un buon matrimonio, ma non perdono nulla della propria natura.
Perché preciso? Perché le eroine di questo genere - a prescindere dal fatto che la Austen e la Alcott erano due scrittrici meravigliose - sono vere. Sono credibili. Sono donne.
Adesso, finalmente, arriviamo a Kara Thrace - ma il discorso vale per molte delle protagoniste che la narrativa fantastica ci ha propinato negli anni. [Salvo solo Red Sonja e Belit di Howard, perché in qualche modo avevano una loro credibilità]
Kara Thrace è una donna che si comporta come un uomo. Beve, fuma, gioca d'azzardo e, stando a quanto detto nella penultima puntata della prima stagione, non è una patita dell'igiene personale.
Ora, so che sto per fare un discorso fraintendibile e cercherò di spiegarmi al meglio: Kara Thrace e altre della stessa razza con lei non sono donne in un ruolo prettamente maschile. Sono donne che imitano gli uomini e che, per questo, suonano false. Diventano delle Mary Sue.
[Lo so che lo Starbuck originale era un uomo, fra l'altro il Dirk Benedict pre-Sberla di A-Team e si è voluto omaggiare il personaggio nel remake della serie.]
Prendiamo una qualsiasi eroina féntasi di quelle che vanno ai nostri giorni (e lasciamo perdere che, oltre al resto, avrà una predestinazione di un qualche tipo sulla gobba): come minimo, è una guerriera fortissima. Ora, credo di non dire bugie affermando che la struttura fisica dell'uomo e quella della donna sono differenti. Mediamente, un uomo è più grande, pesante e con una muscolatura più massiccia e potente. Il rapporto grasso/muscoli è diverso. Si chiama dimorfismo sessuale. 
Per quanto una donna possa essere più intelligente e più veloce, difficilmente riuscirà a eguagliare un uomo in uno scontro fisico. Ai miei bei dì ho fatto diversi anni di judo e non è un caso se, da una certa età in avanti, le competizioni sono divise in maschili e femminili. Anche supponendo di essere a parità di peso, sul piano fisico l'uomo è in vantaggio.
Perciò, quando vedo - o leggo - di uno scontro, magari simil medioevale, in cui una guerriera in armatura riduce a mal partito un avversario maschio come minimo storco il naso. Lo storco ancora di più quando leggo che la nostra eroina è una specie di top model tutta curve e non perché le bellone mi destino una sorta di "invidia del pene" versione femminile. Ma perché per sostenere uno sforzo di quel genere - e ancor di più uscirne vincitrice - è necessaria massa muscolare. Un bel po' di massa muscolare. E, per essere credibile lei, più che ad Angelina Jolie, dovrebbe somigliare a una lanciatrice del peso strafatta di steroidi. Sono d'accordo, sarebbe molto meno affascinante. E, in una ipotetica versione cinematografica, attirerebbe assai meno pubblico.
Torniamo per un momento a Kara Thrace. 
Un uomo con le stesse caratteristiche comportamentali risulterebbe un simpatico bastardo con un po' di affascinanti lati oscuri. (E questa, meglio che precisi, è una mia speculazione, perché non ho mai visto lo Starbuck originale). Lei, una Mary Sue anche più antipatica della media (e per la categoria è piuttosto alta).
È un discorso maschilista?
Prendiamo un'altra donna. Prendiamo Boomer. Nella stagione 1 l'importanza dei due personaggi è quasi pari. Però, mentre la prima è poco credibile, la seconda lo è molto di più. E non si può certo dire che Boomer ricopra un ruolo prettamente femminile: è un militare e un pilota tanto quanto la Thrace. Perché questa differenza? Perché Boomer non si comporta come un uomo mancato.
[So benissimo cosa si prova a essere una donna che fa un lavoro maschile in un ambiente costituito al 90% da uomini. Devi dimostrare di essere all'altezza e sforzarti più di loro perché, oltre alla difficoltà del lavoro, devi superare il pregiudizio dovuto al sesso. Ma se io mi presentassi in cantiere e pretendessi di comportarmi come un uomo, sia nel modo di agire che nei discorsi, pensate che risulterei più credibile? Secondo me farei ridere i polli. Senza considerare la ricaduta sul parco clienti.]
Che dire della Presidentessa Roslin? Ricopre un ruolo di enorme responsabilità e si muove in un mondo, quello della politica, estremamente difficile e pieno di trappole. Eppure è uno dei personaggi meglio riusciti. Perché è intrinsecamente femminile. Non scimmiotta un presidente uomo.
Per chiudere, vi faccio notare una differenza.
Un personaggio uomo è uomo a 360°. Fa tutto quello che fa un uomo vero: che mangi, dorma, oppure scopi non gli manca nulla.
Un personaggio femminile è, spesso e volentieri, monco. Avete notato che le eroine non hanno mai - o quasi mai - il ciclo? Lo so, detta così sembra una cosa molto scema - e anche una sottolineatura un tantinello disgustosa - ma è una parte importantissima dell'essere donna. Non solo per le implicazioni "riproduttive", né per quelle fisiche (e ti voglio vedere, al primo giorno, piegata in due dai crampi, che te ne vai in battaglia a menare fendenti con lo spadone), ma perché fa parte di quello che siamo nel profondo. Condiziona il nostro fisico, condiziona la nostra emotività, ci fa ragionare in modo diverso.
Uomini e donne non sono uguali. Hanno - e devono avere - uguali diritti, il che è diverso e sacrosanto.
In conclusione, e parlando di narrativa senza addentrarmi in pericolose derive, non sto dicendo che l'uomo deve fare l'uomo e la donna deve fare la donna, non nel senso che l'uomo deve andarsene in giro per avventure e la donna starsene a casa a fare la calzetta.
Sto dicendo che la donna non deve fare l'uomo, nel senso che deve mantenere una propria identità di genere anche quando fa le stesse cose.

martedì 22 gennaio 2013

Battlestar Galactica

Sono quasi alla conclusione della prima stagione e vorrei buttare giù due o tre impressioni a caldo.
Ho fatto fatica - vi dico la verità - ad entrare nel mood di questa serie, infatti l'ho iniziata e ripresa non meno di un paio di volte.
Ora, considerate che a me piacciono le astronavi. In questo senso, Battlestar Galactica è una gioia per gli occhi. Le sequenze di combattimento sono meravigliose e il tunnel di lancio dei Viper mi ricorda tanti cartoni animati della mia infanzia (lo so che si chiamano anime, ma all'epoca erano "i cartoni": lasciatemi essere vintage).
Amo il fatto che il Galactica sia sostanzialmente un pezzo da museo, anche se molto in forma per la sua età: gli ambienti sono scarni, spogli, un po' frusti. Superfici metalliche scure e piene di bozzi - con un po' di ruggine. I portelli con le chiusure a volante che sembrano presi direttamente dai sottomarini odierni. E i Viper tutti frusti e con la vernice scrostata (l'hangar è uno dei miei set preferiti, un po' perché mi ricorda quello dei Ribelli sulla luna di Yavin e un po' perché amo il fatto che venga mostrato un po' di sano lavoro meccanico).
Se gli umani sono costretti ad affidarsi a una tecnologia obsoleta, i Cylon sono invece ipertecnologici. I loro caccia sono, paragonati ai Viper, un vero splendore (credo che siano fra i caccia spaziali più belli concepiti da mente umana. Non arrivo a dire che mi piacciono più degli X-Wing, ma ci vanno vicini). Inoltre, i modelli Cylon robotici sono terrificanti e inesorabili al punto giusto (anche se non ho capito per quale motivo non siano equipaggiati con un rilevatore di calore corporeo: è la maniera più semplice per accorgersi di eventuali umani nascosti, no?).
Per quel che riguarda la trama, devo dire che l'intreccio fra fantascienza e mitologia - intreccio che è stato inizialmente suggerito in maniera sottile e che sta diventando man mano più concreto - non mi dispiace. C'è una profezia in ballo, a quanto ho capito: vediamo dove mi porterà.
I personaggi sono davvero meritevoli di attenzione, tutti: dalla bellissima Numero Sei (il cui splendore diventa ancora più inumano quando la si vede capeggiare uno squadrone di Cylon metallici) al comandante Adamo e alla sua controparte civile, la presidentessa Roslin. Per non parlare del dottor Baltar con il suo fragile equilibrio, o dell'autodistruttivo Tigh (è appena entrata in scena la moglie. Non so se sia una Cylon o no, ma una cosa è certa: è una zoccola da competizione!). Per ora mi soddisfa meno Kara Thrace (la trovo un po' cliché, ma spero che si rifaccia) e Lee Adamo (gran bel figliolo, ma sto ancora aspettando che riveli il suo potenziale). Fra i due c'è una corrente sotterranea di attrazione e aspetto di capire cosa succederà (e, per favore, niente spoiler!).
Devo dire che è stato fatto un ottimo lavoro di approfondimento psicologico: la loro dimensione interiore si intreccia alla situazione nella quale si trovano in un perfetto equilibrio, senza che l'una o l'altra delle due parti prenda il sopravvento. Poteva diventare una specie di sparatutto con i robot malvagi che inseguono senza tregua i superstiti umani o l'equivalente spaziale di una soap opera, invece è venuta fuori una serie appassionante che in grado di piacere anche a chi cerca qualcosa più di raggi laser e battaglie nello spazio. (E adesso... sotto con la seconda stagione!)

lunedì 21 gennaio 2013

To be or not To be? (Il dilemma della scribacchina)

Prendo spunto da questo post della Socia Ais per rimuginare un po'.
È che io me lo chiedo spesso, se sono o no una scribacchina. E mi sembra presuntuoso perfino definirmi tale (figuriamoci poi autopromuovermi a scrittrice!).
Faccio confronti con gli altri: con il loro modus operandi, la loro produttività, il tipo di rapporto che hanno con i personaggi, se usano o meno una colonna sonora per ciascuna storia... e via di questo passo.
È che se devo giudicare dal "quanto è importante la scrittura", beh, che dire? La verità è che potrei farne a meno. Ne ho fatto a meno per più di dieci anni. Se scrivo sono più contenta, mi piace, mi diverte, ma posso vivere senza. Sono lenta. Sono discontinua. Non giro col bloc notes (anche se ogni tanto mi capita di usare le note dell'iPhone). Non ho un rapporto simbiotico con i personaggi, anzi, ci tengo a mantenere le distanze.
Insomma, non so a voi, ma a me sembra un disastro. E la cosa mi disturba. Vorrei essere scribacchina e invece... non ho i requisiti.
Avete presente quella cosa che la vita o la vivi o la scrivi? Ho sempre pensato che fosse una gran stupidaggine, perché dall'esperienza vengono fuori storie più ricche e una visione del mondo più completa. Però è pur vero che gli occhi di chi scrive sono occhi particolari: vedono cose che alla maggior parte di noi sfuggono. Ecco, in quel senso sono un po' orbetta.
Comunque, ci sono delle domande, ho dato le mie risposte. 
Cosa stai facendo per la tua scrittura? Leggo. Scrivo. Ogni tanto mi vergogno della mia incapacità (non che questo serva a molto).
Cosa stai facendo per essere scrittore? Oh, a me 'sta domanda sembra strana. Come se dovessi fare qualcosa per appiccicarmi un'etichetta. Tipo una raccolta punti. Non faccio niente per essere scrittore: se scrivo è perché mi diverto.
Chi sa che scrivi? In rete, parecchie persone. Offline, invece, la famiglia, qualche amico. Non tanta gente, comunque.
Dove scrivi? In casa, principalmente. In sala, o in cucina, o sul lettone con il portatile. Vagolo in giro. Ogni tanto, in ufficio. Invece di lavorare (sì, complimenti a me).
Quanto scrivi? Dipende. A volte sono compulsiva, a volte passano settimane senza che scriva una riga.
Quante storie hai concluso lo scorso 2012? Vediamo... due lunghe e tre brevi.
Quante hai in mente di scriverne quest'anno? E chi lo sa? Mi piacerebbe concludere tutte quelle iniziate.
Hai iniziato a scriverne qualcuna? O stai ancora tergiversando? Sono in fase di revisione, ma tanto devo rifare tutto, quindi possiamo pure dire che ho iniziato a scriverne una.
È in ordine il tuo blog? Onestamente, non vedo cosa c'entri. Comunque sì. Più o meno. Per i miei standard. Insomma, non lo so!
Hai un blog almeno? Diversi. Solo che gli altri sono segreti e se vi dico qualcosa poi sono costretta a uccidervi.
Hai mai spedito la tua opera a un editore? E come no. Anche ad alcune agenzie letterarie.
Hai mai vinto un concorso letterario? Qualcuno. È fico, per trenta secondi ti senti la regina del mondo. Poi torni normale.
Qualcuno ha mai letto le tue storie? Sì. La mia amica Babi e le Socie. E il mio compagno. Non sono tanto per lo spacciare roba da leggere in giro. Mi vergogno, dare il proprio manoscritto (ai non addetti ai lavori, intendo) è un gesto molto intimo. C'è sempre il pericolo che ti ridano dietro.

sabato 19 gennaio 2013

Colonne sonore.

Di solito non scrivo con la musica. E non ho una OST per ogni storia.
Mi piacerebbe, eh. Ci ho provato, a compilarne, ma ho scoperto che serviva solo a distrarmi (infatti le storie dotate di colonna sonora sono ancora lì da concludere).
Forse perché non sono un'appassionata di musica: mi piace, ma sono in grado di vivere anche senza (a differenza della dolce metà, infatti i signori che sentirete più sotto me li ha fatti scoprire lui). 
O, più semplicemente, sono una di quelle che ha bisogno di tranquillità e silenzio per "produrre" (vabbé, se vogliamo dire che produco). Però mi capita una cosa strana: perché a volte inciampo su canzoni che piacciono a uno o all'altro dei miei personaggi. Ma dopo, quando la storia è conclusa e sto lavorando a tutt'altro. Forse significa solo che le mie creature non sono poi così lontane da me quanto mi piacerebbe credere. 
Così vi lascio la preferita di Artibano (in realtà, piace di più all'Artibano ragazzino della Sentinella del Golfo che a quello di Ultimo Orizzonte):



venerdì 18 gennaio 2013

Brand New Start

Vi capita mai, o vi è mai capitato, di ritrovarvi con una storia che è fuori centro?
A me sì. Adesso.
Ripreso in mano il first draft e introdotte le prime modifiche mi sono accorta che il nocciolo della questione non era quello che pensavo fosse. Che era proprio tutt'altro.
Questo "tutt'altro" è più solido, più interessante e molto, molto più difficile.
E ora?
Cerco di aggiustare la cosa? Butto via senza remore un anno di lavoro? Butto via me stessa (mi sa che faccio prima)?
So qual è l'opzione giusta (e no, non è la terza). Anche se non fosse scritta in tutti i manuali che ho letto, è la logica stessa a suggerirla. Se qualcun altro mi ponesse la stessa domanda non avrei esitazioni: non rattoppare, per carità, rifai daccapo.
Quando si tratta degli altri è facile. Ci vuole coraggio, accidenti, a cestinare.
Ma del resto, come dice sempre la mia Socia Ais: the true novelist is the one who doesn't quit. Non mi sento molto una novelist - men che meno true, più che altro, il mio tempo è equamente ripartito fra il sentirmi un geologo e il sentirmi un impiastro - solo... mi secca mollare il pezzo, ecco.
Perciò, meglio entrare nell'ordine di idee e rimboccarmi le maniche. C'è parecchio lavoro da fare prima di ottenere qualcosa di leggibile. E io voglio che sia leggibile. Possibilmente presto.


giovedì 17 gennaio 2013

I musi della Parietaria 6: Eric Stoltz

Il musO numero Sei - come in The Prisoner! - ha quasi recitato in Ritorno al futuro: sì, prima di essere rimpiazzato da Micheal J.Fox.
A me piace quella sua aria raffinata ed elegante, senza contare che ho un inverecondo debole per i capelli rossi e le lentiggini. (Sì, anche lui è un mio prototipo, lo confesso.)


Dove potete vederlo? In realtà, in parecchi film - alcuni dei quali non proprio eccelsi - specie degli anni '90.
I miei preferiti: Memphis Belle e L'ultima profezia (anche se qui è il Gabriel di Christopher Walken a farla da padrone... e non dimentichiamo l'apparizione finale di Viggo Mortensen nella parte di Lucifero, quella vale da sola tutto il film)
Inoltre, è stato protagonista della serie fantascientifica Caprica, il prequel di Battlestar Galactica.

lunedì 14 gennaio 2013

Cloud Atlas - libro e film.


"Cloud Atlas manoscritto".
"Cloud Atlas non ho capito la trama".
"spiegazione Cloud Atlas".
"vale la pena Cloud Atlas"
Queste chiavi di ricerca sono abbastanza ricorrenti. E non solo qui,  a sentire i blogger che frequento.
A quanto pare, 'sto benedetto Cloud Atlas sta calamitando un sacco di attenzione.
Per quel che mi riguarda, ho finito il libro (e ho comprato anche Ghostwritten, che sto leggendo) e ho visto il film, quindi posso fare un po' di confronti sparsi.
Una cosa è innegabile: se vai a vederlo del tutto ignaro, e attratto dal "dai creatori di Matrix" che ci viene sbattuto in faccia nel trailer, Cloud Atlas risulta spiazzante.
In generale, siamo abituati a storie con un andamento più lineare o nelle quali i legami siano  maggiormente sottolineati. Non è una critica al film - che a me è piaciuto moltissimo. Sto solo constatando.
Libro e film, ve lo dico subito, sono diversi.
Non è tanto la differenza in quel che accade (c'è differenza, ma è ovvio: non era possibile concentrare tutti gli avvenimenti, già così dura più di due ore): è una sottile diversità di contenuti che rende il film un po' più appetibile ai gusti del pubblico. Dove Mitchell non esita a tirare schiaffi in faccia al lettore, non risparmiandogli sgradevolezze da parte dei personaggi protagonisti, la versione filmica indora la pillola, glissa, edulcora.
Prendiamo l'amore.
Il tema dell'amore è molto più presente nel film che nel libro. Perché? Perché, come concetto, l'amore che supera le differenze è uno dei più semplici, universali (e, sì, abusati). Credo che sia stato accentuato per rendere il film più accessibile e gradito.
In An Orison of Sonmi-451: quella bella storia d'amore - un po' cliché ma fa presa - fra Sonmi e Hae-Joo Im... ecco, nel libro scordatevela pure. Quella cosa di lei che gli ascolta il cuore - oh, va bene, è molto cliché, ma fa la sua porca figura e poi Jim Sturgess è tutt'altro che da buttar via - se la sono inventata di sana pianta gli sceneggiatori. L'intero meccanismo politico in cui Sonmi si trova intrappolata è molto più complesso e sottile (e il ruolo di Hae-Joo Im è, senza stare a spoilerare troppo, molto meno edificante). Meronym e Zachary in Sloosha's Crossin' an' Ev'rythin' After? Niente da fare. E che dire dello splendido happy ending di The Ghastly Ordeal of Timothy Cavendish? Anche quello ciao ciao.
Su altri elementi - il risalto dato alla voglia a forma di cometa che rende possibile vedere in Cloud Atlas una storia di reincarnazioni successive - il film è meno incisivo del libro, così come i legami "incidentali" fra le parti sono per forza di cose meno sottolineati. Ad esempio, mentre per chi legge il nome "Sixsmith" è un nesso molto stringente fra la seconda e la terza storia, per chi si trova a guardare il film (specie da non anglosassone e quindi con ovvi problemi di comprensione) è meno ovvio.
Per il resto, a livello di impatto visivo, l'ho trovato splendido, specie nelle due storie ambientate nel futuro... anche se Hugo Weaving con gli occhi a mandorla proprio non si può guardare (mentre mi è piaciuto moltissimo come infermiera Noakes e come Old Georgie!) e forse Hae-Joo è un po' troppo superguerriero per essere vero (ecco, forse i suoi combattimenti sono la parte del film che vagamente ricorda Matrix).
Il post-apocalittico è la mia ambientazione preferita (e, nel libro, ho apprezzato tantissimo le scelte linguistiche di Mitchell, anche se mi hanno reso la vita difficile).
Gli attori mi sono piaciuti praticamente tutti ed è divertente riuscire a riconoscerli nei diversi ruoli. Sono rimasta impressionata in modo particolare da Hugh Grant, abituata com'ero a vederlo fare l'eroe romantico lievemente imbranato ma carino. Qua fa delle parti da merdaccia mica da ridere. Tom Hanks ha la maggiore varietà di ruoli - cattivo, delinquente, codardo - e l'ho rivalutato molto. E poi, vabbé, Broadbent se li pappa tutti a colazione, ma dov'è la novità? Fra le donne, nonostante una Halle Berry in gran spolvero, giganteggia Susan Sarandon (la profetessa!).
La colonna sonora, poi, è meravigliosa e genera dipendenza.
Perciò, nel complesso: sì, vale la pena di vederlo anche se l'ideale, per come la vedo io, sarebbe affrontare il film dopo aver letto il libro.
Si capisce lo stesso (ci vuole un po' di attenzione: se avete la pretesa di guardarlo con la soglia di concentrazione da cinepanettone lasciate proprio perdere), ma è più divertente riuscire a cogliere i rimandi e anche le differenze fra le due versioni.

sabato 12 gennaio 2013

Decimo Grado Richter

Ieri ero lì che scrivevo un post polemico quando il mio mondo si è capovolto d'improvviso. 
Non starò ad annoiarvi con i fatti miei, tranquilli.
È che la vita ha un modo tutto suo di prenderti a calci in faccia.
Non lo fa certo per insegnarti qualcosa: se riesci a imparare, meglio per te.
La scossa è stata tale da rimescolarmi le priorità.
L'unica cosa che conta davvero è stare vicino alle persone importanti. È a loro che vale la pena di dedicare il proprio tempo e le proprie energie. 
Per quel che riguarda tutti gli altri... francamente me ne infischio.

giovedì 10 gennaio 2013

I musi della Parietaria 5: Paul Bettany

Giovedì, finalmente è giovedì. E oggi ho un musO davvero fico, ché nella vita bisogna pure far qualcosa per tirarsi su!
Questo signore l'ho visto la prima volta in una commedia sul tennis, un filmetto divertente, senza infamia né lode (titolo rimosso, zero voglia di googlare) e avevo notato la carinaggine del tipo. Però non mi aveva colpita più di tanto.
Poi l'ho ri-incontrato (ma solo virtualmente, sia chiaro) ne Il codice da Vinci (sì, lo so, cagata il libro cagata il film). Solo, il suo personaggio non è proprio un concentrato di fascino.
Infine, me lo sono trovato di nuovo davanti guardando quella ciofeca di Inkheart.
Sapete cosa vi dico? Per me c'è una sola, unica, incontrovertibile e sacrosanta ragione per la quale una persona sana di mente dovrebbe vedere quel film.
Questa:

 
[Lo so che il filmato è in russo, o in ugrofinnico, o in Diosolosachecosa, ma sul serio volete dirmi che ve ne frega qualcosa della voce fuori campo?]
Ha fatto il prete ammazzavampiri, l'angelo e un sacco di altre cosucce, ma, se vi devo dire come la penso, lo preferisco come dottore in Master And Commander.



martedì 8 gennaio 2013

Chiavi di ricerca

Le chiavi di ricerca che portano qui non sono mai troppo sganasciose. Per dire, niente pervertiti, o deviati, o rincoglioniti generici. Sono proprio delusa!
Va per la maggiore "X-Files" (in improponibili varianti ortografiche) e "Millenium Falcon" (sì, scritto così) e diciamolo una volta per tutte: CI VANNO DUE ENNE! Ultimamente, parecchie persone cercano anche di capire per quale motivo Ryan veda Wilfred come un uomo travestito da cane. Spiacente, non posso illuminare le vostre tenebre: non lo so. Secondo me perché è schizofrenico, ma prendetelo per quel che vale.
Ed ecco quelle di oggi:
david bowie: è anche il suo compleanno! Comunque, complimenti per il buon gusto.
tardis scala a chiocciola: sì, è bella. È piaciuta anche a me.
angeli e cuori spezzati: non so come dirtelo, ma sei nel posto sbagliato. Qua niente robaccia del genere.
david bowie immagini: ce n'è una sola, ma, ancora, complimenti per il buon gusto.
film sul silmarillion: no, grazie, comunque no, grazie.
gary oldman bello: amen, sorella (perché questa è una donna, sicuro).
louvre piramide: sì, beh, bell'ingresso, ma la roba che c'è dentro il museo è meglio.
non ho capito cloud atlas: leggiti il libro! (O, in alternativa, questo post!)
palombaro zavorra: è parecchia, fidati.
parietaria officinalis: sì, lo so, cercavi un'erba infestante e hai trovato il mio blog. Chiedo scusa.

Ah, beccatevi il nuovo singolo del Duca Bianco. È strepitoso.


lunedì 7 gennaio 2013

Cloud Atlas - il libro

Lo sapete cosa sto leggendo? Cloud Atlas e no, non guarderò il film fino a che non l'avrò finito. (E, per favore, non mi spoilerate niente.)
Allora, che posso dirvi?
Iniziamo con le cose spicciole (e un po' banali): l'inglese è difficile. Almeno per quel che riguarda le prime storie. In questo senso, la quinta (An Orison of Sonmi) è molto più accessibile agli autodidatti come me. Ci sono molti termini sconosciuti al vocabolario - almeno, a quello del mio reader - e che necessitano di un po' di pazienza e ricerche.
Se volete prenderlo in lingua originale, sappiatelo. Ovviamente, vale la pena fare un po' di fatica e leggerlo.
La struttura di Cloud Atlas, non è uno spoiler né una novità, è molto peculiare (poi ti viene da pensare che, a proporre un manoscritto del genere alle c.e nostrane ti ridono in faccia, ma vabbé, facciamoci passare alla svelta il momento dell'acido, anche perché l'hanno pure tradotto quindi va già di culo che arrivi). Ciascun capitolo è una storia a sé, che si interrompe bruscamente senza una ragione e che, tuttavia, conserva un filo che la lega al capitolo successivo. [E comunque, ancora non ho capito il motivo del titolo: aspetto con ansia il momento della rivelazione, visto che qualcosa - non vi dico cosa - che si chiama Cloud Atlas in una delle storie c'è.]
A volte, è semplicemente il fatto che il manoscritto precedente capita in mano al protagonista di quello successivo - che resta perplesso quanto noi alla brusca interruzione della storia - a volte un personaggio secondario di una storia rientra come comprimario e, in una certa misura, "motore immobile" (mai aggettivo fu più azzeccato) di quella dopo. Altre volte ancora è una caratteristica fisica, un peculiare marchio di nascita, a ritornare fuori, instillando in chi legge il dubbio che, in fondo in fondo, non si tratti altro se non di reincarnazioni successive.
Cloud Atlas è anche una sorta di catalogo letterario. C'è il diario di viaggio ottocentesco e poi il romanzo epistolare, il giallo, l'intervista - che nasconde, in realtà la fantascienza, un po' come in World War Z
I toni, la terminologia, lo stile nel suo complesso, variano a seconda della forma letteraria e dell'epoca in cui ci si trova e il lettore, in pratica, viaggia nel tempo dal passato al futuro (e, a quanto ho capito, ritorno), con l'impressione di essere alla caccia di un mistero elusivo, che quasiquasi sei lì e lo riesci ad acchiappare e ma poi, oh cavolo, ti sfugge all'ultimissimo secondo e devi ammettere, un po' scornato che no, non ci avevi capito proprio un tubo. (In questo senso, ma solo in questo, fa un po' Lost prime due stagioni: alla fine della prima credevi di avere capito e poi arrivava la seconda e no, ti ribaltava completamente ogni certezza).
Non starò a farvi una disamina tecnica, è noioso e poi non serve a un tubo: quel che vi dico è che, se vi approcciate a questo  libro, dovete farlo ben disposti a impegnarvi. Cloud Atlas chiede molto al lettore e non mi riferisco ai "problemi di traduzione" (che io ho e magari voi no). Va letto con attenzione (e occhio ai dettagli, perché prima o poi rispuntano fuori). Non è roba da ombrellone - o da tazza del cesso, tanto per essere chiari. Non è divertente, non nel senso in cui sono divertenti i blockbusteroni fantasy che mi piacciono tanto. 
È impegnativo come e quanto un libro di narrativa seria (che poi la narrativa di genere per me sia narrativa seria - a volte, anche più seria della cosiddetta seria - è un altro discorso, ma cerchiamo di capirci).
In definitiva: consigliato sì, ma a certe condizioni. 
Se non avete voglia di far lavorare i neuroni, fatevi un favore: lasciate perdere. Ma se i vostri neuroni scalpitano e vi ci vuole una boccata d'aria fresca per salvarvi dalla putredine del panorama libresco nel belpaese... accomodatevi: avete appena trovato quello che fa per voi.

giovedì 3 gennaio 2013

I musi della Parietaria 4: Tom Hiddleston

Va bene, è un musO un po' ovvio, ma, oh, chisseneimporta.
Tom Hiddleston è bello. 
Lo dico subito, così 'sta cosa ce la togliamo dai piedi. E chi se lo sogna, di negarlo? Io no davvero.
Però, in un mondo in cui la bellezza fisica conta a volte più della bravura, Tom Hiddleston è soprattutto bravo.
Quel che penso di Thor (il film) l'ho già detto, ma... andatevelo a riguardare e notate in che modo ruba la scena a Hemsworth.
Gli mangia la pappa in testa. 
Il suo Loki emerge con una tridimensionalità che - scusate - gli altri se la sognano. Ok, mi direte: il personaggio è fascinoso già di suo, ma questo, a mio modesto avviso, non significa un tubero di niente. Se avessero dato da interpretare Loki a un castagnone qualsiasi sarebbe venuto fuori una ciofeca, con buona pace dell'originale fumettoso - e dei suoi fan, probabilmente.
Insomma, è bello, è bravo, è acculturato e, a sentire le interviste, fa dei discorsi intelligenti. 
Che volete di più dalla vita?


mercoledì 2 gennaio 2013

Buoni propos... ma anche no.

Primo post dell'anno.
Quindi, a logica, dovrei fare quella cosa dei buoni propositi, che però evito perché tanto non li rispetto mai.
Che poi, son sempre i soliti. Il primo è "dimagrire". 
Ok, adesso potete anche ridere.
Invece, vi parlo di una roba che ho scoperto tipo l'altroieri grazie al commercialista. No, vi spiego: il mio commercialista è un figo pazzesco. Non in senso fisico, però scusate: è un ex-surfista, appassionato di fumetti (in particolare, Hugo Pratt), va a LuccaComics tutti gli anni, gli piace la fantascienza, mi ha consigliato un sacco di bei libri e bei film. Per dire, la prima volta che ho sentito nominare Iron Sky è stato da lui.
Comunque, si parlava di serie Tv e lui mi ha nominato The Prisoner.
Non so se l'avete mai sentita, io confesso l'inioransia e vado a spiegare per gli inioranti come me (quindi, se siete già informati, prendetela per quel che vale).
The prisoner è una serie inglese del 1967 (gli americani l'hanno rifatta nel 2009, ma il remake ancora devo guardarlo: sono andata diretta sull'originale) e parla di un agente segreto inglese che, dopo aver rassegnato le dimissioni, si ritrova catapultato dentro il Villaggio.
In pratica, arriva a casa deciso a farsi la valigia e a sparire - dopo aver cazziato di brutto l'ex-capo - e invece viene narcotizzato e si risveglia in un villaggio costruito su un'isola. 
Il Villaggio, a guardarlo così, sembrerebbe pure un bel posto: lindo, in ordine, con un sacco di gente - vestita in modo assurdo, ma vabbé - con delle attività ricreative per divertirsi, belle casette in cui abitare.
Un sacco di verde, giardini, piscine, un porticciolo delizioso, la spiaggia...
(Esiste davveero 'sto posto: è il villaggio turistico di Portmeirion, in Galles. Non è un'isola, però: è solo alla foce del fiume Dwyryd).

 
Se vuoi andare da qualche parte, ti basta chiamare un taxi: ci sono un sacco di Mini Moke pronte a scarrozzarti (c'è da dire che i taxisti filano come disperati, strombazzando per far spostare i pedoni).
Sapete qual è il problema?
Che da lì il nostro eroe non se ne può andare. Il fatto è che ha rassegnato le dimissioni, ma sa un sacco di cose. A quanto pare, non si può correre il rischio che le spifferi in giro. Perciò, invece che ucciderlo o sbatterlo in galera, è imprigionato in questa specie di gabbia dorata e non ha più nemmeno il suo nome.
Nel Villaggio, è solo e soltanto il Numero Sei. 
La cosa non è che gli stia tanto bene (la catch phrase è "I'm not a Number, I'm a Person") e, ovviamente, tenta di scappare fin dal primo giorno. Ma mica è facile, eh.
Tanto per cominciare, nonostante l'apparenza, il Villaggio è ipertecnologico. 
Ci sono microfoni spia e telecamere nascoste ovunque. Non si può fare nemmeno un passo senza che chi di dovere lo sappia. La sorveglianza armata è dappertutto, anche se mimetizzata in modo da essere invisibile. E poi c'è il Rover, che è la cosa più strana - e più affascinante, nonché il colpo di genio - di questa serie.
Il Rover è una specie di gigantesco pallone bianco - che pare uscito da una copertina dei Pink Floyd - e che sembra avere vita e volontà proprie. Quando tenti di scappare, ti insegue, ti ingloba  in una scena che fa un po' film horror e ti risvegli in casa, costretto a riprovarci daccapo.  Ammesso che tu ne abbia ancora voglia.
Ora, a questo punto uno si domanda: "Ma perché? Chi è il responsabile di tutto questo?"
In pratica, il "chi di dovere". Chi di dovere sarebbe il Numero Uno. Solo che non si vede mai. L'unico con cui lui ha contatti - e che cambia ogni volta - è il Numero Due. È il Numero Due a spiegargli perché si trova lì e perché non potrà mai uscirne. E anche cosa vogliono da lui.
Sì, perché, oltre a tenerlo di fatto sotto chiave, vogliono sapere per quale motivo ha dato le dimissioni. E il nostro non apre bocca. Al che, gli viene minacciosamente promesso che parlerà. Eccome se parlerà.
La bellezza di questa serie, che è molto Sixties, sta proprio nell'assurdo tenuto sotto controllo. Non c'è niente di particolarmente disturbante, nel Villaggio, ma, se lo guardi nell'insieme, è un carosello di pazzia. È un mondo fuori dal mondo, con regole simili al nostro (emblematico quando consegnano al Numero 6 i documenti, la tessera sanitaria, la carta di credito, insomma, tutto quello che serve per essere inserito nella macchina burocratica), ma profondamente diverso. È un mondo doppio, fatto di apparenze, dove nulla (e nessuno) è come sembra. 
E questo aspetto è così patinato, così volutamente finto, che non puoi fare a meno di domandarti quale sia la realtà dietro i veli e le maschere. 
Una serie che conta molto di più sulla tensione e sullo script che non sugli effetti speciali. Notevole, davvero.