giovedì 28 febbraio 2013

I musi della Parietaria 12: Robert Downey Jr.

Questo musO non è un bravo ragazzo, uno di quelli tranquilli, che non combinano casini, che non esagerano. Proprio no.
Lui, nella sua vita, ha fatto un sacco - ma veramente un sacco - di stronzate. È finito persino in prigione. Però, ragazzi se è bravo nel suo mestiere!
Quando entra in scena, con quella faccia un po' così, da schiaffi, con l'espressione di uno che, sotto sotto, ti prende per il culo, non ce n'è per nessuno.
Che poi, se proprio volete sapere come la penso, lui è uno di quelli che più invecchiano e più diventano fighi. Da giovane aveva quel faccino pulito che non diceva granché. Ma adesso, con un po' di rughe e una spruzzatina di grigio nei capelli e nel pizzetto... ma quanto è interessante?

E poi, giusto perché lui può...




mercoledì 27 febbraio 2013

Riflessioni a caso sulla scrittura.

Oggi voglio parlare di scrittura. 
Non so bene cosa vi dirò, visto che vado a braccio, ma tant'è: abbiate pazienza con me, oggi.
No, è che sto completando una storia, con le mille parole al giorno. (A proposito, ieri sera ho centrato l'obiettivo. Sabato e domenica mi sono riposata e lunedì sera... ero troppo depressa dal penoso spettacolo elettorale.)
Inizialmente, a questa storia tenevo tantissimo. Tenevo ai personaggi, cosa per me molto insolita. Poi è successo qualcosa: ha iniziato a diventare più lunga, più complicata e con personaggi parecchio diversi da com'erano all'inizio, al punto che sembravano snaturati.
Infine, e questa è la cosa peggiore, ha cominciato a sembrarmi irrimediabilmente stupida. Più la leggevo e più mi domandavo come avessi potuto, in coscienza, essere soddisfatta di quella porcheria. 
L'ho mollata lì. Anzi, non solo l'ho mollata lì: l'ho nascosta a me stessa, una deformità di cui dovermi vergognare.
Questo la dice lunga sul mio (stupido) desiderio di perfezione, sulla mia (stupida) paura del giudizio e sulla mia (stupida) sindrome da prima della classe. Da qualche parte ho letto che non ci si deve vergognare dei propri errori (e non intendo quella frase da Smemoranda stile "non pentirti di quel che hai fatto se quando l'hai fatto eri felice". Onestamente: è una stronzata). 
Ci si deve vergognare dei propri errori? Dipende dagli errori, mi pare ovvio. 
Se ho messo sotto un pedone per una manovra errata... direi che vergognarsi è poco. 
Se ho scritto qualcosa che mi sembrava bello e poi mi sono accorta che era una stupidaggine (e che nessuno ha letto), posso evitare di fustigarmi. In teoria. Perché (ve l'ho già detto che sono stupida?) mi fustigo lo stesso.
Detto questo, visto che non ho la testa per riprendere in mano tre progetti più succosi - dei quali due con first draft completo - e che ho bisogno, un bisogno disperato, di routine ho ritirato fuori dalla naftalina la storia stupida.
E vado avanti, senza pensare alla qualità né del prima, né dell'adesso. Senza pormi domande sul perché i personaggi siano diventati quel che sono. O che cosa potrebbe pensare qualcuno leggendola (i miei fallimenti li tengo per me).
L'unico obiettivo è mettere un punto. Finirla. Finirla per non averla più in sospeso, a ciondolare in fondo al ripostiglio della mia mente.
Non so se questo atteggiamento da "ti tolgo di mezzo perché non ne posso più di te" sia "da scrittrice". 
Ultimamente ho smesso di chiedermi cos'è da scrittore e cosa non lo è. Sono un po' stufa di sentirmi inadeguata. Ok. Molto stufa.
Non giro con il block notes, non rubo pezzi di realtà da mettere nelle mie storie, non parlo con i personaggi, tantomeno li vedo. Per me non sono reali come persone vere: sono personaggi. Non so dire cosa sia la scrittura per me. Non mi è necessaria come respirare, non è la mia valvola di sfogo, né il mondo incantato nel quale fuggo quando quel che mi circonda diventa insopportabile: quando quello che mi circonda diventa insopportabile, vado in piscina. O a correre. O bisticcio con qualcuno per futili motivi (l'unico, vero motivo è che mi girano le palle).
La sola cosa che faccio "da scrittrice" (e le virgolette sono d'obbligo, perché sono un geologo e non una scrittrice) é che mi metto lì e scrivo. 
E non vedo niente di speciale in questo, altra cosa che mi sta dando sempre più sui nervi. Se scrivi non sei meglio degli altri. Niente aura dell'intellettuale, o stronzate del genere.
A volte, quando scrivo mi diverto. Magari parecchio. A volte mi angoscio. A volte mi arrabbio. 
E a volte, semplicemente, mando affanculo storie moleste.


martedì 26 febbraio 2013

Un paese di sognatori.

Premessa: la politica non mi piace. Non mi piace questa politica. Perché? Perché ho sempre pensato - scusate se sembro snob - che, primo, la politica e i politici dovessero essere al servizio del cittadino e non di se stessa/i. Secondo, che per fare politica - quella vera, quella seria - fosse necessaria credibilità.

Da una ventina d'anni a questa parte abbiamo assistito al trionfo dell'improvvisazione. Non solo siamo arrivati ad avere al governo persone prive della benché minima idea di quali fossero i meccanismi costitutivi e funzionali dello stato italiano - persone che, probabilmente, non hanno mai ascoltato nemmeno una lezione di Educazione Civica alle medie - ma, soprattutto, gente che si improvvisava. Abbiamo visto di tutto: sui banchi del nostro parlamento - e in posizione chiave nei governi - odontoiatri, maestri di sci, igieniste dentali, segretarie, ex-miss, diplomati alla Scuola RadioElettra, finti laureati con il pezzo di carta straccia comprato all'estero, cantanti neomelodici... insomma, un carrozzone senza capo né coda.
Non starò qui a discutere di chi sia la colpa se l'Italia è ridotta in questo modo.
Sapete perché? Perché questa gente è stata votata. Che piaccia o meno, qualcuno lassù ce li ha mandati.
L'Italia - e l'italiano medio con essa - è fatta così. Siamo un paese di sognatori. Forse i nostri duemila anni di cristianesimo ci hanno impiantato la fede nel DNA, perché altrimenti non si spiega come mai, invece di domandare delle soluzioni, noi crediamo a promesse di futuri miracoli.
E no, non mi riferisco solo al celeberrimo miracolo italiano.
Piuttosto che accettare il trauma di una situazione fallimentare - e destinata a peggiorare - speriamo che arrivi qualcuno, un messia politico, che con un paio di colpi di genio rimetta tutto a posto. Possibilmente, senza infilare le mani nelle nostre tasche.
Ora, facciamo a capirci bene.
Mi rompe sovranamente le palle sentire quanto prende un parlamentare misconosciuto al mese, per sedere in parlamento a dormire o a giocare a solitario con l'iPad che si è comprato non con i suoi soldi - vale a dire con lo stipendio di cui sopra, che noi gli paghiamo - ma, probabilmente, che gli viene passato aggratis  come "dotazione standard" o chissà che. Specie quando vedo, alla chiusura del mercato ortofrutticolo sotto l'ufficio, gli anziani che si vanno a recuperare le verdure destinate alla spazzatura.
Mi rompe sovranamente le palle che le manovre "di lacrime e sangue" le abbiano pagate pensionati e dipendenti, vale a dire quelli che pagano sempre.
E mi rompe sovranamente le palle il pensiero che, adesso, le cose diventeranno anche peggio. Mi metteranno le mani nelle tasche, come e più di prima, non è che i futuri sacrifici (e non ci scrivo nemmeno "eventuali" perché sono certi, altro che palle) mi facciano proprio scoppiare dalla gioia.
Ma mi rendo conto che, se non vogliamo finire come in Grecia, e ci finiremo, maledizione, qualcosa si dovrà fare. E, ovviamente, nessuno farà nulla.
Quello di cui non mi capacito, ma sul serio, è la creduloneria della gente. Perché io, che sono intelligente ma non più di molti altri, quando è stato detto "vi tolgo l'IMU e, anzi, ve la rimborso" mi sono domandata: "Come?"
Voglio dire, a prescindere da vent'anni di promesse mai - e dico mai - mantenute (e sempre, chissà come mai, per colpa d'altri), il che minerebbe la fiducia di chiunque... o anche no, evidentemente, il punto è: dimmi come. Vuoi togliere l'IMU? Vuoi ridarmi quello che ho pagato? Perfetto. Ma dimmi con quali soldi. Ci hanno detto che l'IMU serviva a rimettere appena in carreggiata lo stato, quindi, come facciamo, messi a porco come siamo, a permetterci non solo di rinunciare a questo introito, ma a restituire "il maltolto"?
O, se guardiamo dall'altra parte, "Ci vuole un reddito di cittadinanza".
In via teorica sono d'accordissimo. La domanda, però, è sempre la stessa: "Come? Con quali soldi?"
Invece, sembra che tanta gente queste domande non se le ponga proprio. Bastano le promesse di un futuro migliore, basta aggrapparsi a uno scampolo di speranza. Anche a me la speranza manca molto, non crediate. Ma preferisco guardare in faccia la realtà e non mettermi a ignorare domande che saranno anche scomode, ma sono parecchio pertinenti.
Le elezioni di ieri hanno rappresentato l'ennesima figura di cacca internazionale, e stavolta non è colpa dei politici. Stavolta è colpa del popolo, perché la fotografia che emerge è quella di una popolazione che, innanzitutto, se ne sbatte di esercitare il più sacro dei propri diritti, perché l'astensionismo l'ha fatta da padrone. E poi di un popolo che, anziché porsi domande e pretendere - perché bisogna pretenderle! - risposte, si accontenta di mirabolanti promesse, si fa abbagliare dal populismo che le viene propinato durante show in piazza o in tv e, fondamentalmente, si raggruppa in tifoserie. Non è una partita di calcio, signori.
I mercati, manco dirlo, reagiscono di conseguenza e non si può davvero dar torto: se devono investire, vanno a farlo sul sicuro, mica in un posto dove non c'è una situazione stabile.
Infine, i dati elettorali possono essere letti in un'infinità di maniere e una preparazione in sociologia aiuterebbe di molto. A sentire i diretti interessati, hanno vinto tutti. Quello perché "ha recuperato", quell'altro perché "ha tenuto", quell'altro ancora perché "in fondo abbiamo fatto tutto in cinquanta giorni partendo da zero".
Ecco, io 'ste cose non le sto proprio a sentire. Non ce n'è stato uno - ma uno! - che dicesse "abbiamo sbagliato tutto".
Per me c'è un unico dato che è incontrovertibile.
Le persone - e lì in mezzo mi ci metto anche io - non ne possono più di vedere sempre le stesse facce da trent'anni e fosse gente che ha governato bene!
Vecchi, inquisiti, straricchi, che non hanno la minima idea di cosa sia il paese vero, quello dei cittadini. Avranno pure fatto carriera partendo dal basso, ma hanno perso il contatto con la società da decenni. 
Sono dinosauri che, per un'anomalia endemica del nostro paese, non si sono estinti. 
Perché se uno ruba - ed evadere il fisco è rubare, perché le tasse che non paghi tu, stramaledizione, le pago io al posto tuo, ti venissero emorroidi a grappolo inoperabili (cit.) e mi fa incazzare che un ex-premier incoraggi a fare del nero - non posso pensare che, nelle sedi istituzionali, agisca nell'interesse comune. 
Questa è gente che, prima di tutto, fa gli interessi propri e fanculo il resto.
La cosa davvero avvilente è che lo fa perché nell'italica mentalità vige il "così fan tutti". Per citare credo Travaglio, in Italia un ladro più un ladro fa zero ladri. Giusto stamattina origliavo una conversazione politica sul bus. Una signora parlava di Di Pietro dicendo che, per quanto antipatico, proponeva cose giuste. La persona con cui stava parlando gli ha risposto che pure lui ha le sue ombre ed è stato indagato. Replica della signora: "Eh, se stiamo a guardare quello allora non votiamo più nessuno!". Traete le vostre conclusioni.
Perché è così che ci ritroviamo nella grottesca situazione di far scrivere una riforma fiscale a un branco di evasori.
Perciò, quello che è chiaro oltre ogni ragionevole dubbio è il messaggio: fuori dalle palle.
È sacrosanto. Solo che si ritorna al problema iniziale: l'improvvisazione.
Governare l'Italia intera non è come essere eletto sindaco di una città X - e non è facile nemmeno quello.
Per due terzi siamo in mano alla solita vecchia cricca e per un terzo, invece, al nuovo che avanza e sul quale aleggia il sospetto del "non hanno la più pallida idea di cosa fare e come farlo". Non dubito che siano in buona fede. 
Ma ho, ve lo dico, un orrendo presentimento.

sabato 23 febbraio 2013

La cellulite della Seredova.

Una delle cose che più mi scocciano dell'avere un indirizzo mail con dominio inwind.it è che, per leggere la posta, devo per forza passare da Libero.it. 
Ogni santa volta, leggere i titoli che Libero.it strilla in faccia al malcapitato utente mi fa venire un nervoso che guai. Perché sono un campionario delle peggiori stupidaggini partorite da mente umana. (E non mi dite che posso scaricarmela con Thunderbird, la posta, perché no, non posso, visto che il mio provider non è Infostrada.)
Ora, la cellulite della Seredova.
No, non sono rimbambita tutta d'un colpo. Quando ho letto il titolo, la prima reazione è stata: come direbbe Il tristo mietitore (e se non lo followate ancora su Twitter cosa state aspettando?) il cazzo che me ne frega è visibile dalla luna. (Lo so, avevo detto niente parolacce qui dentro, ma per questa volta mi concedo un'eccezione.)
La seconda (immediatamente dopo): con tutto quello che succede nel mondo qualcuno legge questa roba? (Non ho letto l'articolo, mi è solo cascato l'occhio sul titolo. Ho una dignità, io). Risposta: evidentemente sì, se qualcuno la scrive e la mette on line. Tristezza a tonnellate.
E poi un briciolo di solidarietà femminile: ma sentite un po', una povera (si fa per dire) disgraziata non può tenersi in pace i suoi difetti fisici senza che siano sbandierati urbi et orbi? Evvabbé, ha la cellulite, vivaddio è umana pure lei e non un cyborg. Belin, feve i cassi vostri (spero non ci sia bisogno di traduzione).
Seriamente, adesso. Io lo trovo avvilente.
Ma davvero siamo così? Davvero c'è gente per la quale queste sono le cose importanti, le cose che vale la pena conoscere, cui fare caso? La cellulite di questa, le corna di quest'altra, il lifting di quell'altra ancora. Gente che si interessa dell'ultimo pettegolezzo dello showbiz, di chi va con chi, che si lobotomizza di fronte alle becere piazzate dei reality show.
E poi mi viene in mente che l'Italia è nella merda (sì, altra parolaccia). Che in Grecia sta succedendo di tutto e nessuno dice niente. Che è venuto un nubifragio a Catania, non c'è scappato il morto per puro miracolo, e l'unica cosa che si sente è il rimbalzare di promesse elettorali una più falsa e bislacca dell'altra.
Che domenica si vota. E anche una parte di 'sto branco di rincoglioniti (non c'è un modo meno efficace per dirlo) sarà là a fare il suo bravo segnetto. Non tutti, perché magari non hanno voglia, devono andare all'outlet o chissà che altro, ma una parte sì. 
Ma cosa mi voglio, cosa mi posso, aspettare da costoro e dal paese che li ha partoriti? Consapevolezza? Senso di responsabilità? Attenzione al dovere civico?
Se, vabbé.

venerdì 22 febbraio 2013

All of time and space...

Quando a scuola hanno cominciato a farci fare i temi - terza elementare, tipo - il primo impatto è stato disastroso. E per me, con la sindrome da prima della classe che mi ritrovavo (e che mi ritrovo), è stato un trauma. Non riuscivo a prendere la sufficienza e stava diventando davvero un problema - nonché un incubo, quando sapevo che avremmo fatto tema in classe.
Non capivo che c'era bisogno di seguire una traccia, di strutturare il discorso in maniera logica: i miei temi erano un'accozzaglia di frasi che saltavano di palo in frasca. Non c'erano quasi errori di ortografia o sintassi, in quello me la sono sempre cavata decorosamente, ma per il resto... una Caporetto.
Non mi ricordo quando - o chi - mi abbia tratto finalmente dalle tenebre, spiegandomi che un tema doveva avere un suo percorso logico, andare da qualche parte, a volte dimostrare qualcosa.
Però una cosa me la ricordo. 
Il primo tema dopo che questo misterioso qualcuno ha provveduto a spiegare. Perché quel tema - e ho conservato il quaderno per anni - parlava di un viaggio nel tempo. Non so quale fosse il titolo preciso, so solo che iniziava con me che precipitavo con la mia navetta e mi ritrovavo in bilico sulla punta della piramide di Cheope. Non l'imponente rudere, no. Quella nuova. Appena costruita, con ancora il piramidion. Infatti scivolavo giù stile bob in una discesa mozzafiato.
Seguivano le mie avventure nella società egizia, in mezzo a gente che faceva la birra, commerciava in animali, fra gli scribi che riempivano di geroglifici i fogli di papiro. Perché, oltretutto, un vetro della navetta si era incrinato, perciò non potevo tornare indietro prima di averlo riparato. E c'era un tempo limite, oltre il quale mi sarebbe toccato rimanere lì, per sempre.
Non mi ricordo come andava a finire, cioè, ricordo che riuscivo a ripartire all'ultimo secondo, ma come e perché no e il quaderno, purtroppo, è andato perduto.
Non so se sia accaduto davvero o se sia una mia impressione, ma mi sembra che le maestre rimasero alquanto impressionate dalla cosa. No, non impressionate stile "questa bambina è un genio della penna in erba", più una cosa del tipo "ma da dove se l'è presa, questa roba?". 
Però, in fondo, nella bella calligrafia della maestra preferita c'era un bel "Brava!" (con il punto esclamativo. Non è per vantarmi, il punto esclamativo era essenziale. Le mie maestre non ti davano i voti, ma i giudizi. C'erano: "Malissimo", in pratica un baratro, e l'orrido "Male", ma questi non rientrano nella mia esperienza, anche perché i miei genitori erano piuttosto severi, quindi vedevo di rigare molto dritto. E poi "Benino", che mi faceva venire i brividi al solo vederlo, perché sapevo che mi sarebbe costato una lavata di testa a casa, "Bene", senza infamia e senza lode, che migliorava appena un po' se seguito dal punto esclamativo, "Brava", "Brava!", l'ambito "Bravissima" e poi l'apice: il "Bravissima" con il punto esclamativo, raro e prezioso).
Un viaggio nel tempo.
Il primo tema sufficiente della mia vita. 
Non me lo dimenticherò mai.
Perciò, credo che se un domani incontrerò il Dottore, quando lui mi domanderà: "So... all of time and space, everything that ever happened or ever will - where do you want to start?" non avrò dubbi. Risponderò: "Egitto. Diciottesima dinastia."

giovedì 21 febbraio 2013

I musi della Parietaria 11: Robert Carlyle

Che cosa succede se dico "Full Monty"?
Che vi vengono in mente (e non necessariamente in quest'ordine): 
  1. la scena finale dello spogliarello.
  2. la scena all'ufficio postale con Hot Stuff in sottofondo.
  3. lui.
Perché Full Monty è un film carino e ben fatto, ma, diciamocelo, lo regge quasi tutto sulle spalle il musO di oggi, il quale, sono sicura, incontrerà l'incondizionata approvazione della Socia Ais.
Non è un mistero che lei fangherleggi (come me, del resto) per lui - in quanto attore di superba bravura - e per il suo personaggio in Once Upon A Time - primo, perché si pappa gli altri a colazione, particolarmente il principe del LOL, e con l'unica eccezione della Evil Queen di Lana Parrilla, e secondo perché la sua storia con Belle è, effettivamente, il romance più interessante - se non l'unico interessante - della serie.
In ogni caso, eccolo qua, il musO numero 11: Robert Carlyle.


lunedì 18 febbraio 2013

Mille parole al giorno.

In questo periodo sento il bisogno di esercitare una certa autodisciplina. Ho l'impressione che la vita mi stia scappando di mano, nel senso che prende derive inaspettate, di fronte alle quali rimango attonita. E, in un certo senso, indifesa.
Perché io sono - purtroppo - una control freak. Ho bisogno di sapere esattamente a che punto sto, cosa fare, come e quando farlo, di stabilire una sorta di "perimetro di sicurezza" entro il quale le condizioni sono esattamente quelle che io decido. Quando, per qualche motivo, non riesco, beh, sto male.
Vado alla deriva.
E così non posso proprio più andare avanti. Devo fare qualcosa. Devo ricostruire tutto partendo dalle basi. Ho bisogno di una routine, di un allenamento che mi permetta di riportare nella mia vita l'ordine perduto.
Le mille parole al giorno fanno parte di questo allenamento. In questo momento non importa cosa scrivo e lo so benissimo. In questo momento l'importante è scrivere. Scrivere quanto mi sono prefissa, ogni giorno, senza eccezioni.
Non è difficile, mille parole sono una quantità gestibile, specie se non ti poni il problema della qualità. E c'è il rinforzo positivo di essere riuscita a realizzare l'obiettivo (e anche quello di vedere il word count andare sempre più su).
Per ora, è abbastanza.

venerdì 15 febbraio 2013

You can do it.

La foto (bellissima) viene da qui
Correre non è uno sport facile. 
Perché? Perché non è divertente (almeno, non per me). Soprattutto, non lo è durante. Per quanto mi riguarda, a dirla tutta, lo trovo noioso, specie se, come me, corri intorno a un parco che ha un perimetro di un chilometro esatto. Non è tanto differente dall'essere un criceto sulla ruota.
(La domenica, però, vado al mattino e mi tolgo lo sfizio di correre sul mare: lì la cosa cambia).
Prima di tutto, è un esercizio di volontà. Sei sola, con giusto il lettore mp3 a farti compagnia, e, come se non bastasse, sembra che l'universo intero cospiri contro di te: la gravità ti fa sentire tutto il peso, l'aria non è abbastanza. Il tuo stesso corpo si ribella e non collabora: i muscoli fanno male, per non parlare della milza, quella dannata!, e poi si suda e se fuori è freddo (come in queste sere) finisce che hai caldo e i brividi nello stesso tempo. Mettiamoci pure che lo sai che domani sera sarà la stessa storia, più o meno, e che non smetterà di essere così per tanto, tanto tempo. 
E ti ritrovi a farti l'unica domanda. Quella fondamentale.
Non è "Doctor Who?", è: 
"Ma a me, chi me lo fa fare di soffrire come un cane?"
Dopo, c'è il bivio.
Due scelte. 
La prima è ovvia. Ti fermi. Ci sono un sacco di cose più divertenti da fare, e poi è tardi, vuoi andartene a casa, farti la doccia, stranarti sul divano, che poveretto soffre di solitudine (devi pure preparare la cena, ma non ne hai nessuna voglia). Perché che sarà mai, puoi sempre riprovarci domani e, anche se non ci riesci, mica casca il mondo. Non vinci e non perdi.
La seconda è ricacciare indietro la domanda (e tutte le implicazioni e i suggerimenti di Cervelloh riguardo ad attività alternative infinitamente più piacevoli) e continuare ad andare. Sbanfando come un ippopotamo sovrappeso, con la schiena zuppa, le gambe che pesano manco fossero pietra, e l'acuta consapevolezza di essere al minimo storico del tuo (già di per sé parecchio scarso) fascino.
Lo so, somiglia un po' al classico "stretta è la via che porta al paradiso" o come cavolo era (non sono ferrata in queste cose), ma è più o meno così che funziona.
Correre necessita di una strano tipo di concentrazione: è un'attività che esclude divagazioni, pensieri, valutazioni di qualsiasi sorta. Se pensi a regolare il fiato, è la volta che vai in affanno. Se ti fai pippe mentali sul ritmo è la volta che lo rompi. Devi lasciare andare tutto e, semplicemente, muoverti. Non si tratta di ascoltare il tuo corpo, perché questo implica un certo grado di controllo su di esso e invece lui si regola benissimo anche da sé: devi permettergli di farsi gli affari suoi e startene brava e zitta in un angolo.
Se ci si riflette su, correre ha molto in comune con il concetto di desiderio. Ma non in un senso astratto, no. In uno parecchio concreto: volere qualcosa - ad esempio, raggiungere i chilometri che ti sei prefisso - anche a costo di soffrire. Non tanto, eh, non si sta parlando di auto-martirizzarsi. Solo un po'.
Se lo vuoi davvero raggiungere, quell'obiettivo, devi pagare. Con il sudore, i crampi se capitano, il fiatone e la sensazione di essere un bruco che striscia con fatica infinita. 
E poi succede qualcosa
Dopo che hai stretto i denti (metaforicamente, sei pur sempre a corto di fiato e la bocca ti serve per incamerare più aria possibile) e hai deciso che no, non molli manco morta, arrivi a un certo punto, oltre il disagio fisico, l'affanno e tutte le seccature annesse e connesse (che ci sono e continuano ad esserci, beninteso), in cui ti rendi conto che tutto dipende solo da te.
Non c'è nessuno a dirti di no, nessuno cui rendere conto, nessuno che ti dica "Tanto non ce la farai mai" a raggiungere il tuo obiettivo giornaliero e, se ti va, a superarlo.
Ci siete tu e la strada. Basta. Sapete come ti fa sentire, questo? Libero.
E quando ti rendi conto che ce la puoi fare sul serio, che ce la stai facendo e che, anzi, puoi andare ancora oltre... allora ti ripaga di tutto.
Ne L'arte di correre, Murakami traccia un parallelo fra la corsa, intesa non come gara, ma come preparazione alla gara, e la scrittura. E ha ragione: le due cose si assomigliano. Scrivere è un esercizio di volontà. Un'attività che necessita di disciplina e sacrifici. E nella quale si deve imparare a credere, perché è faticosa, è frustrante, ti porta un sacco di rogne e rotture di scatole, prima, dopo e durante e devi proprio volerla a tutti i costi, quella storia, per sopportarne le implicazioni.

Il dolore non si può evitare, ma la sofferenza è opzionale.
Supponiamo per esempio che correndo uno pensi: "Non ce la faccio più, è troppo faticoso". 
La fatica è una realtà inevitabile, 
mentre la possibilità di farcela o meno è ad esclusiva discrezione dell'individuo.

Murakami Haruki - L'arte di correre

(Così, en passant: è un bellissimo libro. Dategli un occhio, se vi va.)

giovedì 14 febbraio 2013

I musi della Parietaria 10: Gabriel Byrne

Il musO di oggi è veramente fico.
Tanto per cominciare, è di un'eleganza superba. Poi ha una faccia stropicciata e interessante. Last but non least, è un ottimo attore.
L'ho visto per la prima volta nel remake di Nikita e, nonostante il viziaccio degli americani di rifare film che non hanno alcun bisogno di essere rifatti, devo dire che lui spiccava parecchio come omologo di Tchéky Karyo (e ne avrei da dire, anche di costui).
Poi vediamo... ah sì, D'Artagnan ne La maschera di ferro. Una pettinatura che non se poteva vedè, ma fascino da vendere: dà dei punti pure all'Aramis di Jeremy Irons (e io sono sempre stata affascinata da Aramis, quindi diciamo che partiva avvantaggiato). Non parliamo poi del confronto con Leonardo DiCaprio, che, fra il re bimbominkia e il gemello troppobuonoperesserevero... vabbé, dai, è come sparare sulla Croce Rossa.
E poi, e poi... il professor Bhaer in Piccole Donne. La Alcott non lo descrive così fico, anzi, dice che è una specie di orso peloso (dal cuore d'oro e dalla cultura sterminata, d'accordo), ma vogliamo lamentarci? No, ovviamente.
E il meccanico ne Il senso di smilla per la neve. Anche lì, l'originale letterario ha (forse) il fascino del mistero: non veniamo mai a sapere il suo nome e potremo - noi lettori e Smilla - fidarci davvero di lui? Non si sa, ma al cinema, con la bravura e la faccia di questo signore qui, il personaggio acquista un bel po' di spessore in più.
Insomma... a prescindere da genere, trama eccetera, vale comunque la pena di dare un'occhiata a mister Gabriel Byrne.


martedì 12 febbraio 2013

(I'm still) Alive

Ci sono, eh. Sono viva.
Il periodo non è dei più semplici, quindi anche la mia voglia di scrivere e bloggare è ridotta ai minimi termini.
Passerà.

 

giovedì 7 febbraio 2013

I musi della Parietaria 9: David Tennant

Altro giro, altra corsa e, sì, altro Dottore.
Non è il mio preferito, ma è davvero un gran Dottore (è risaputo, invece, che quello di Matt Smith non mi entusiasma per niente).
Che dire del signor David Tennant? Che è bravo sempre e comunque, a teatro, in televisione o al cinema, se fa il cattivo o se fa l'eroe. Che ha una bella faccia, ma riesce a essere simpatico, spiritoso, sexy e anche repellente. Insomma, gran professionista.
Ogni tanto gli fanno fare delle commediole romantiche, ma io lo preferisco in ruoli meno melensi e più frizzanti (e se mai mi deciderò a guardare il remake di Fright Night sarà solo e soltanto per lui).
Cosa vi consiglio, a parte le serie 2, 3 e 4 del Dottore? Much Ado About Nothing, in teatro, in coppia con Catherine Tate.
E ora beccatevelo nei panni del Dottore più stiloso di tutti (e non ditemi che non vi fa venire voglia di comprarvi le Converse).