venerdì 31 maggio 2013

Il canto di Kali - Dan Simmons


A volte ti imbatti in libri che fanno paura.
Non so come funzioni per voi, ma io mi spavento molto di più con le immagini che non con la parola scritta. Per quanto leggere sia un'esperienza immersiva e per certi versi totalizzante, quando si arriva alla paura con me funziona la vista. Puro e semplice.
Però, come vi dicevo, ci sono le eccezioni.
Finora ne avevo trovato solo una: Le notti di Salem. Ieri, è arrivata la seconda: Il canto di Kali.
Abituata a leggere Simmons in altri contesti - Hyperion, L'estate della paura e L'inverno della paura, Drood e l'ultimo, Flashback (e ho La scomparsa dell'Erebus ancora da cominciare) - sono rimasta davvero spiazzata. In un certo senso piacevolmente. In un altro molto meno.
La storia de Il canto di Kali è, per certi versi semplice: Robert C. Luczak, il protagonista, arriva a Calcutta nei primi anni Settanta, per intervistare un misterioso poeta indiano, Das, creduto morto da anni e, invece, rivelatosi ancora vivo. Con lui ci sono la moglie, Amrita, indiana ma cresciuta in Inghilterra, e la figlioletta Victoria. Inutile dire che il compito di Luczak sarà molto più difficile e sinistro di quanto non sembri a prima vista.
Se dovessi definire Il canto di Kali direi che è la storia di un disastro in attesa di verificarsi.
È popolata di personaggi inquietanti - su di tutti svetta E.M. Krishna, il malvagio Virgilio di questa discesa negli Inferi -, colma presagi (a cominciare dall'arrivo all'aeroporto Dum-Dum, che all'epoca portava il nome di munizioni messe al bando per i loro effetti devastanti) e di accenni agli innominabili misteri di Kali e della setta dei suoi adoratori, i Kapalika. Ma la vera, unica, grande, repellente protagonista è Calcutta, con la sua miseria, le strade fangose, la decadenza, la morte e la decomposizione, il fetore che la permeano.
Ho detto che è spaventosa, anche. 
Il canto di Kali è la preghiera composta dalle migliaia di azioni repellenti, folli, sanguinarie, meschine che si compiono ogni giorno in ogni luogo, che avvicinano sempre di più al mondo il ritorno della Dea Sanguinaria, bandita da questa terra migliaia di anni fa. E questo rende il libro in qualche modo realistico. E tanto più impressionante, per questo.
Non voglio dirvi altro, se non "leggetelo". Ma vi avviso: vi disturberà, vi metterà a disagio. E non riuscirete a mollarlo fino alla fine.

mercoledì 29 maggio 2013

Jack Vance

A dodici anni circa ho fregato un libro.
Lo so, non si fa.
Ho uno zio appassionato di fantascienza e quel libro celeste bello grosso, con una specie di dirigibile in copertina e un tipo vestito come Conan il barbaro, mi ispirava proprio.
Il libro era Il ciclo di Durdane e quello è stato il mio primo incontro con Jack Vance.
Il librone azzurro è ancora nella mia libreria. Mi ha seguito in tutti i miei traslochi. Continuerà a seguirmi.
Le avventure di Gastel Etzwane il musico, Durdane e i suoi cantoni, ciascuno estremamente diverso dagli altri, in un caleidoscopio di culture differenti. I chiliti e la loro fobia per la contaminazione femminile, l'Anome e le sue Benevolenze e i torc esplosivi, ciascuno con il proprio codice di colori che identifica il portatore. Il druithino Dystar, Jerd Finnerack, il mio personaggio preferito, e il saggio Mialambre:Octagon. I tremendi Rogushkoi e gli ancor più repellenti Asutra. 
Tutto questo è custodito nella mia memoria.
Dopo, è arrivato il ciclo di Tschai - Cosmo Oro della Nord, preso a prestito infinite volte in biblioteca. Ero innamorata di quel libro. Anche quello è nella mia libreria (ma non l'ho fregato: ne ho comprato una copia su ebay).
L'ho saputo solo stasera, ma Jack Vance se n'è andato tre giorni fa.
E l'unica cosa che mi sento di dire è
grazie per tutte le storie e le avventure.

martedì 28 maggio 2013

Un freddo tuffo nel passato

Nell'aprile del 1943 su Spezia si riversa un vero e proprio mare di bombe: i Lancaster inglesi fanno piovere tonnellate di esplosivo e bombe dirompenti e incendiarie: fino ad allora, nessuna città italiana era stata presa così pesantemente di mira.
È l'inizio di un incubo quotidiano per la città e i suoi abitanti, un incubo che dura fino alla fine della guerra.
La causa, va da sé, è la presenza dell'Arsenale Militare, che all'epoca era una piazzaforte importante.
Per darvi un'idea dei danni causati, all'indomani del 25 aprile, quando iniziò la ricostruzione da parte della Regia Marina, l'ammiraglio inviato a sovrintendere i lavori contò - fra le due darsene, la rada di Lerici e lo specchio di mare antistante Portovenere - più di trecento relitti. Tutte le officine erano ridotte ad ammassi di macerie e i bacini di carenaggio completamente allagati e pieni di rottami.
Ma meglio delle parole, funzionano le immagini, quindi ecco qua.


Ma a subire non fu - com'è ovvio - solo la parte militare. Le sofferenze più grandi furono quelle della popolazione.
Per celebrare il settantesimo anniversario dei bombardamenti, è stato parzialmente restaurato e aperto al pubblico uno dei rifugi antiaerei. Adesso ospita un'esposizione di cimeli storici. Si trova in centro città, a due minuti a piedi dal mio ufficio.
Non potevo - e non volevo - perdere l'occasione di vederlo: mia nonna della guerra, dei tedeschi, delle bombe e dell'essere sfollati me ne ha parlato un bel po'... e non ho dimenticato i suoi racconti.
 
Ero curiosa, curiosa come lo si può essere quando si va a vedere una tomba antica: non ero per niente coinvolta - o impressionata - dal significato e dalle implicazione di ciò che avrei visto.
Quando sono entrata mi ha accolto il più agghiacciante suono che abbia mai sentito. Questo.


Ed è cambiato tutto.
Entri lì dentro e sei - letteralmente - in un altro mondo.
Il rifugio è tutt'altro che un rifugio. Non ti senti sicuro, non ti senti protetto e, soprattutto, non ti senti a tuo agio: è freddo e buio.
L'umidità ti striscia addosso e ti arriva sotto la pelle: le colline di Spezia sono in gran parte carsiche e questo rifugio in particolare, che si sviluppa in due direzioni e va ben oltre il pezzetto visitabile, ha problemi di venute d'acqua dalla roccia. Il gocciolio è costante e, in alcuni punti, la volta (nella sua versione originale, in mattoni pieni e malta, questa è in cemento) è instabile e a rischio crollo.
E mentre te ne stai lì senti l'ululato della sirena, il rombo degli aerei in avvicinamento e poi il fischio delle bombe che cadevano e le esplosioni, una dopo l'altra... e non perché ti lasci suggestionare, ma perché l'allestimento comprende anche la proiezioni di alcuni filmati.
La cosa più interessante sono le testimonianze, la viva voce dei superstiti che racconta cosa voleva dire rimanere ammucchiati con i fischi delle bombe che cadevano, le esplosioni che facevano tremare il suolo, senza sapere quando saresti uscito, se avresti ritrovato la tua casa, i tuoi averi e tutte le persone che amavi.

E adesso guardate qui. Non fate caso a tutta la luce, sono i filtri automatici della digitale che compensano la penombra. Osservate il carretto verde in primo piano.
È quello della Pubblica Assistenza. Oggi siamo abituati alle ambulanze.
Ma all'epoca, in questa città devastata e sconvolta, avevano solo quello.
E lo tiravano a forza di braccia, nient'altro che una barella con le ruote, con la cassetta di primo soccorso che andava bene se era piena, soccorrevano i feriti e portavano via i cadaveri.
Le vedete, sullo sfondo a sinistra, quelle due persone? Sono una nonna con suo nipote. Lui avrà avuto si e no dieci anni e dovevate vederlo, come ascoltava attento le sue spiegazioni e i suoi racconti.
Quando sono ripassata, ormai dovevo uscire, loro erano vicini al carretto e lui le ha chiesto, con un tono pieno di stupore: "Ma avevano solo questo?".
Lei l'ha guardato e le si poteva leggere in faccia l'amarezza e il dolore dei ricordi.
"Sì", ha risposto.
Mi ha colpita, questa nonna. Perché le voci di chi certe cose le ha vissute e non può dimenticarle diventano sempre più fioche. E anche perché avrei voluto poterci andare con la mia, di nonna.
Lì dentro ci sono gigantografie della città danneggiata, con i palazzi sventrati e la gente che si dà da fare per rimuovere le macerie.
E le bombe, quelle piccole, eh, perché ne arrivavano da novecento chili - una tonnellata e queste qui, al confronto, erano proprio poca roba.
Ogni tanto, ne ritrovano qualcuna ancora oggi. È successo a un mio vicino di casa, una ventina di anni fa, mentre faceva gli scavi di fondazione del garage - e all'epoca te li potevi fare da solo, quindi è andata bene che si è accorto subito di cosa si trattava.
Me lo ricordo bene, perché sono arrivati i militari del Genio Artificieri e hanno evacuato tutta la zona.
Ci sono aree della città in cui, quando progetti di fare uno scavo, devi mettere in conto la ricerca di ordigni.

E non si trattava solo di esplosivi: lo so che la maschera antigas fa molto "Are you my mummy?", ma vi devo confessare che l'impeto da fangirl whovian disperata si è spento come un cerino buttato nell'acqua quando ho visto lo schema del gruppo di difesa collettiva antigas che poteva bastare per trenta persone.
Trenta persone. E l'unica cosa che poteva evitare loro la morte a causa dei gas tossici era quell'arnese dall'aspetto tutt'altro che rassicurante.
Mi si è gelato il sangue e non perché lì dentro, come vi ho detto, faceva freddo.
La mia è una città che ha vissuto la guerra e che, come al solito, dimentica il suo passato.
Lo seppellisce, proprio come ha seppellito, con cemento e container, il suo fronte a mare.
Potrei farvi vedere altre foto: ci sono mitragliatrici e bossoli di proiettili della contraerea e un cannone motorizzato e gommato parcheggiato di fronte al rifugio (e anche una torretta di nave - calibro quaranta, credo - che fa bella mostra in un incrocio un po' più avanti), ma preferisco lasciarvi qualcos'altro.
Una testimonianza che urla la sua disperazione dall'abisso del tempo. Che parla delle condizioni in cui ci si trovava. Di cosa si doveva affrontare. E mi dispiace se non si leggono le ultime righe, ma le ricordo e ve le riassumo: dice che nei rifugi non ci sono né pale né picconi. Che se una bomba fa crollare l'entrata, "faremo tutti la fine del topo, che aria ce n'è tanta!!"

[Se vi interessa l'argomento, vi consiglio un po' di letture. I volumi sono ampiamenti corredati di foto d'epoca: L'Arsenale Militare Marittimo della Spezia 1945-1950, Incursioni aree sul Golfo della Spezia (dice non disponibile, ma qui si trova facilmente), Il genio militare alla Spezia, e infine il volume edito da La Nazione La Spezia in guerra 1940-1945, a cura di Arrigo Petacco, che penso si riesca a trovare su ebay].

sabato 25 maggio 2013

I miti della Parietaria 3: Viaggio al Centro della Terra - Jules Verne

Discendi nel cratere dello Jokull di Sneffels che l'ombra dello Scartaris viene a lambire prima delle calende di luglio, viaggiatore ardito, e perverrai al centro della Terra. E questo ho fatto io, Arne Saknussemm 

Ah, Viaggio al centro della Terra, centocinquant'anni e non sentirli!
Le premesse sono classiche e intriganti: l'eminente professor Otto Lidenbrock, esperto mineralogista dell'università di Amburgo, compra un antico libro in una bancarella e trova, al suo interno, un misterioso messaggio scritto in rune (io rovisto nelle bancarelle di continuo e il massimo che m'è capitato è stato uno skypass vecchio di dieci anni).
Ora Lidenbrock è un tipo strano - strano perfino per un geologo, strano perfino per un mineralogista (categoria che annovera alcuni degli umani più strani che io abbia mai visto) - e ha un caratteraccio tremendo. Non è paziente, non é accomodante ed è testardo.
Tanto per cominciare, decreta che nessuno in casa mangerà finché il messaggio non sarà stato decifrato: non lui, non il nipote Axel. Mette a stecchetto perfino Marta, la governante.
Dopo due giorni, Axel riesce a capire il trucchetto per leggere il messaggio, ma esita a dirlo allo zio. Perché? Perché, una volta arrivato in fondo a quelle quattro righe, sa benissimo cosa lo aspetta se aprirà bocca con lo zio: un viaggio al centro della Terra, sulle tracce di un misterioso alchimista islandese, Arne Saknussem.
Forse forse, riflette Axel, meglio morire di fame, visto che, se partiamo, non è affatto detto che riusciamo a tornare.
Ma va da sé che alla fine cambia idea, altrimenti niente storia.
In fretta e furia - da Amburgo all'Islanda non è proprio una passeggiata fuori porta, le navi da e per Reykjaviik sono tutt'altro che frequenti - i due partono: se vogliono vedere l'ombra dello Scartaris indicare il passaggio per il centro della terra, devono sbrigarsi!
Il libro dà al lettore esattamente quello che promette: una discesa nelle viscere del pianeta, in un crescendo di meraviglie e pericoli. Avventura allo stato puro, con quella patina di verosimiglianza scientifica (Verne era un mago in questo) che lo rende ancora più intrigante: la discesa nella terra cava, i funghi giganti, la lotta fra Ittiosauro e Plesiosauro (i primi studi sistematici sui dinosauri risalgono al primi decenni dell'Ottocento, quindi Verne scrive di un argomento scientifico a lui contemporaneo e in pieno sviluppo), il gigantesco uomo primitivo, il mare infinito, l'uscita attraverso un condotto vulcanico... e molto altro.
E anche se, alla luce delle moderne teorie sulla formazione e sulla composizione della terra, le teorie esposte da monsieur Verne sono quantomeno bizzarre, chissenefrega! Sono anche tanto più affascinanti della deprimente realtà!
Ovviamente, il consiglio è uno solo: che state aspettando a leggerlo?
Dove si trova: in italiano e cartaceo, in libreria: per una volta, qualcosa che non sia introvabile!
In ebook ci sono alcune offerte convenienti: Newton Compton lo mette a novantanove centesimi, ma, se lo zio Jules vi piace, potreste prendere in considerazione l'acquisto (a quattro euro e novantanove) de I grandi romanzi (oltre a Viaggio al centro della Terra, ci trovate dentro: Parigi nel XX secolo, Dalla Terra alla Luna, I figli del Capitano Grant, Ventimila leghe sotto i mari, Il giro del mondo in 80 giorni, L’isola misteriosa e Michele Strogoff).
Se invece preferite leggerlo in inglese, io vi consiglio questo volume: Classic Science Fiction Collection. Per quattro euro e cinquantanove oltre a Verne (presente con Twenty Thousand Leagues Under The Sea, From The Earth to the Moon and Round the Moon, A Journey into the Interior of the Earth e The Mysterious Island) vi portate a casa anche Edwin Abbott Abbott, Edgar Rice Burroughs, John Wood Campbell, Raymond King Cummings, Arthur Conan Doyle, Tom Godwin, Andre Norton, H. Beam Piper, Mack Reynolds, Mary Shelley, Edward Elmer Smith e H. G. Wells.
Da leggere fino allo sfinimento, insomma!
Viaggio al centro della Terra - Jules Verne 1864

venerdì 24 maggio 2013

The Good Always Wins. Maybe.

La bella notizia (per me, ovvio) è che ho ricominciato a scrivere: ho ripreso in mano una storia cui tengo tanto e che avevo lasciato a metà. 
Siccome era passato davvero molto tempo, ho riletto la stesura. Dopodiché ho stilato la timeline. 
Amo le timeline.
Non servono solo a evidenziare se hai incasinato la scansione temporale, per cui Tizio parla di cose che non sono ancora successe (no,  non si può fare... non è mica il Dottore!) o incontra Caio morto dieci pagine prima (e non è né zombie, né vampiro, né altro di soprannaturale). La timeline serve a mettere in evidenza con quanta efficacia stai percorrendo le varie tappe che costituiscono la trama.
Nel mio caso, dopo cinque giorni i personaggi erano ancora lì a girare in tondo, senza aver fatto l'unica cosa che dovevano. 
Cinque giorni di dialoghi, di spostamenti ma, stringi stringi, cosa succedeva, ai fini della trama? Un accidente di niente. Nulla.
Ci sono rimasta male. E non perché mi tocca rimboccarmi le maniche e buttare un sacco di pagine. Ci sono rimasta male perché è (era) colpa mia: quando loro girano in tondo è perché io non so dove andare a parare. 
Perché non sono capace di pianificare
Questa volta, però, non posso permettermi di andare a braccio, anche adesso che so con buona approssimazione dove sto andando.
A causa dell'antagonista.
L'antagonista di Ultimo Orizzonte era facile da gestire: i suoi bisogni erano semplici, anche se francamente disgustosi, e non aveva troppi problemi perché, essendo una divinità, poteva contare su, come dire, un vantaggio naturale.
Questa storia ha un antagonista piuttosto complicato. 
Tanto per cominciare, è un manipolatore. Secondo, ha passato parecchio tempo a studiare e progettare le proprie mosse. Ha un piano e intende portarlo alla piena realizzazione. E poi ha una facciata da mantenere, il che vuol dire che, qualsiasi cosa succeda, lui deve uscirne immacolato. Quindi, deve trovare qualcuno che faccia il lavoro sporco al posto suo (e poi toglierlo di mezzo).
Per me, voglio dire la me scribacchina, questo significa piantarla di piagnucolare "no, a pianificare non ci riesco" e progettare le sue mosse nei minimi dettagli (mosse e motivazione, of course. La motivazione è fondamentale). Perché, per quasi tutta la prima parte della storia, è lui che fa il bello e il cattivo tempo. E lo fa in modo così sottile che gli altri neanche se ne accorgono.
Proprio per questo, oggi, mentre facevo brainstorming con l'insostituibile Babi, riflettevo e prendevo appunti mi è venuto in mente Once Upon A Time.
Lo so che apparentemente non c'entra, ma seguitemi.
Oltre al (melenso) I will always find you, l'altra catch-phrase è The good always wins.
Un caposaldo di qualsiasi storia: miti, fiabe, storie per ragazzi, narrativa di qualsiasi genere. Nella maggior parte dei casi, il bene trionfa.
E io oggi mi chiedevo: ma sul serio?
No, voglio dire, è lodevole, ma guardiamoci bene nelle palle degli occhi: quante volte ci è capitato di incontrare, nei libri o nei film, un supercattivo stra-organizzato e dotato di esercito che viene fregato da una compagnia di quattro sciagattati senz'arte né parte, che non hanno dalla loro il conforto del calcolo delle probabilità?
Forse sarò io ad essere superficiale - e chiedo perdono per questo - ma prendiamo l'eroe che è lì che vive la sua vita. A un certo punto, viene coinvolto in qualcosa - o perché ficca il naso dove non deve, oppure perché qualcuno lo coinvolge - ma il punto è: capita all'improvviso e lui viene sbalestrato all'interno di una vicenda che comporta, va da sé, una certa dose di rischio personale, per non parlare della posta in gioco. Non è mentalmente preparato, all'inizio.
Il cattivo no. Il cattivo, di solito, è quello che ha un piano. Che vuole qualcosa, o qualcuno, ma che, insomma, si rimbocca le maniche e cerca di raggiungere il suo scopo. Si impegna. A fare il male, d'accordo, ma si impegna. Chessò, recluta un esercito, rapina una banca, rapisce qualcuno, ruba componenti militari (ho ancora rigurgiti da Fast&Furious 6). Non viene buttato in mezzo ai casini: sa cosa sta facendo, dove, come, perché, a chi. Ha tutto quanto sotto controllo. (Deve essere un cattivo intelligente, eh, sia chiaro, quindi teniamo presente questa lista).
A me sembra logico che chi è in partita fin dall'inizio abbia maggiori possibilità di vincere. Infatti, ogni tanto, per compensare lo svantaggio si ricorre a qualche sporco trucchetto. Ed è proprio quello che non voglio fare.
I miei "buoni" hanno di fronte una luuuunga strada. E non è mica detto che vincano, eh.

domenica 19 maggio 2013

L'angolo della monomania: Doctor Who 7x13 - The Name of The Doctor.

Per poterne parlare, ho dovuto guardarlo due volte e ancora sono perplessa. Non dalla trama - quel che succede è abbastanza chiaro - ma dallo scopo. Perché scrivere un episodio del genere? 
Sono rimasta delusa, lo ammetto. In una serie complessivamente mediocre, con pochi picchi che non bastano comunque a rialzare la media, questa conclusione mi è sembrata, beh, insipida.
La storia, tutto sommato, è semplice: la Great Intelligence trova il modo di attirare il Dottore nell'unico posto in cui non dovrebbe andare, Trenzalore. The fields of Trenzalore, scopriamo, non sono campi coltivati, né campi di battaglia: è un cimitero. Il cimitero in cui è sepolto il Dottore. Dentro il TARDIS, ovviamente.
Come fa? Beh, rapisce i suoi amici: Strax, Jenny e Madame Vastra. A quel punto, il Dottore fa qualcosa che non dovrebbe mai fare: attraversa la propria linea temporale, con il TARDIS che si ribella al suo pilota.
Quel che succede dopo, non ve lo dico: guardatevi l'episodio senza che io spoileri altro.
Ora, lo so che posso sembrare eccessivamente pignola e che sicuramente ci sarà chi non la pensa come me, ma ho trovato questo finale di serie furbo nel senso peggiore del termine.
Una furba operazione tesa ad accalappiare più pubblico possibile per uno show che, a quanto sembra, sta perdendo ascolti. Ci sono i personaggi che i fan gradiscono (Vastra, Jenny e Strax), c'è la soluzione del mistero-Clara (e su questo poi ci torno), c'è River Song post-Vashta Nerada. Ci sono le immagini dei Dottori precedenti, compresi quelli defunti: ogni fan vorrebbe veder tornare il suo Dottore. A casa mia questa si chiama paraculata. In contesti più civili, invece, fanservice.
Quello che a me non piace - e non mi piace dell'intera gestione Moffat, non di questo singolo episodio - sono tre cose.
Primo, l'ossessione di porre il Dottore al centro di tutto. I suoi segreti, i suoi sentimenti, i suoi pensieri, il suo nome... A me interessa di più come reagisce un semplice essere umano quando viene in contatto con questo alieno delle meraviglie e con tutto quello che può offrire: all of time and space. Il rapporto Dottore-companion è un po' come quello fra la terra e il sole: il sole è al centro di tutto e senza di lui non ci sarebbe nulla, ma è sulla terra che si è sviluppata la vita nella sua infinita varietà.
Secondo, il time can be rewritten. Alla fin fine, permette di dire tutto e il contrario di tutto.Per esempio, contraddire quello splendido episodio che è The Doctor's Wife (e no, non vi spiegherò perché. Spoilers!). Insomma, a me puzza tanto di trucchetto da quattro soldi.
Terzo, ma non meno importante, l'ansia da prestazione. Ogni episodio deve essere "più" del precedente: più epico, più avventuroso, ambientato in un posto più strano... insomma, più tutto. E così assistiamo a un tripudio di botti, esplosioni, luci e fumo che, alla fin fine, stanca soltanto. Non credo che Doctor Who debba essere trattato come una sorta di blockbusterone americano. Non penso sia così che si suscita il sense of wonder negli spettatori.
Non sto dicendo che la gestione Davies fosse meglio: so solo che io mi divertivo di più. 
Se devo essere sincera, a me sembra che ormai la serie sia diventata lo one-man show di uno sceneggiatore E produttore esecutivo che ha l'unico scopo di far capire a tutti quanto sia inarrivabilmente bravo. E la presunzione di lasciare il segno in una serie che dura da cinquant'anni. Après moi le deluge, più o meno.
La tomba del Dottore, per esempio. 
Sia Sarah Jane che River hanno detto che, quando corri con il Dottore, ti sembra che non debba finire mai (e che, quando invece finisce, ci resti di cacca... vabbé, questa l'ho parafrasata io). Per noi fan è così, perché fuori una companion, dentro un'altra.
È stato piacevole entrare nella tomba e vedere cosa resterà del Dottore? No. Per niente: è stata una secchiata d'acqua addosso. Quella è la fine anche per noi. Niente più TARDIS, niente più wibbly wobbly timey wimey stuff. Grazie tante, me la potevate pure risparmiare.
E il tanto decantato mistero di Clara? The impossible girl. La Coleman è brava e il personaggio non è male, l'ho sempre detto, ma andiamo, tanto casino per una versione un po' più elaborata di Bad Wolf? Ma per favore!
In definitiva, sono rimasta delusa. Guarderò l'episodio del Cinquantenario perché c'è Ten, ma so già che lo farò a mio rischio e pericolo, perché penso che gli faranno fare una brutta fine. 
Per quanto riguarda l'ottava serie, che è appena stata confermata, mi sa che passo.

sabato 18 maggio 2013

I miti della Parietaria 2: Le porte dell'Oceano - Arthur C. Clarke

Che il secondo mito della Parietaria fosse questo era abbastanza prevedibile.
Rimpiango molto di non averlo in casa, ma, quando è mancata mia nonna, gran parte dei suoi libri è stata data in beneficenza. In mezzo c'era anche questo.
Il primo ricordo che ho, riguardo quando l'ho letto la prima volta, è una sensazione di perplessità.
Già, perché il protagonista si imbarca da clandestino su una nave. Una nave che levita sull'acqua, anziché fenderla con lo scafo. Non sapevo cosa fosse la fantascienza, all'epoca, e siccome non si tratta di hard SF, non avevo capito, a tutta prima, che la storia si svolgesse nel futuro.
Le porte dell'Oceano è, per certi versi, una storia molto classica, quasi dickensiana nelle sue premesse. C'è un orfano (Johnny) che viene allevato in casa degli zii. Loro non lo amano, lui si sente rifiutato. E così, come nei più classici libri d'avventura, una notte fugge. C'è una nave, una enorme nave container, ormeggiata a poca distanza da casa e lui la osserva alla luce della luna. Ci vuole poco: esce da una porta finestra e via. Sembra che tutto gli sia favorevole: nessuno lo ferma, nessuno lo scopre mentre sale a bordo. Si nasconde in una scialuppa e si addormenta. Quando si risveglia, i potenti motori vibrano sotto di lui: la nave è in movimento e casa degli zii ormai è lontana.
Ma le avventure per Johnny sono appena cominciate: la nave fa naufragio e lui si ritrova disperso in mare, con il coperchio di legno di una cassa a fargli da scialuppa. Dopo giorni in balia delle onde, ormai mezzo morto per la disidratazione e il sole, viene salvato. Viene salvato dai delfini.
E finisce così su un'isola nella Grande Barriera Corallina, dove c'è un Istituto dove si studia la comunicazione con i delfini guidato dal professor Kazan. Lì, dopo essere stato accudito da un'enorme infermiera - accidenti, non mi ricordo il nome! -, si ristabilisce. Fa amicizia con Mick, un ragazzo un po' più grande e soprattutto con i due delfini dell'Istituto, una femmina, Susie, e il suo piccolo, Sputnik. 
Contattati dal professore, gli zii di Johnny se ne sbarazzano senza pensarci nemmeno un secondo e il ragazzino rimane a vivere nell'isola, lavorando con i delfini, nuotando e andando a zonzo con Mick e dando una mano al progetto che il professore sta seguendo: insegnare alle orche a non mangiare i delfini (Mick lavora con una femmina di orca che si chiama Nivea). Tutto va bene finché un tifone non si abbatte sull'isola, devastandola e ferendo gravemente, oltre agli altri, il professore. Toccherà a Johnny e alla sua "invenzione", un'imbragatura che permette ai delfini di rimorchiare la sua imbarcazione, tentare di arrivare in tempo sulle coste dell'Australia e cercare soccorsi.
Tutto questo, ve lo preciso, lo sto scrivendo a memoria. Considerato che sono come minimo dieci anni che non lo rileggo, potete capire quanto mi sia rimasto impresso. Fra i punti che mi piacevano - e che sono marchiati a fuoco nel mio cuore - la traduzione del racconto fatto dai delfini, una storia che gli animali si tramandano oralmente, dell'impatto sulla terra di un'astronave aliena che ha causato una tremenda moria e quello, fatto invece da Mick, della disavventura di una donna bianca e del suo bambino, ultimi superstiti di un naufragio, con i cannibali.
Il mio consiglio è riassumibile in: leggetelo.

Dove lo trovate? 
In italiano, frugate nelle bancarelle: è stato pubblicato da Urania non meno di due volte (l'edizione "mia" è quella che vedete in foto, ma ce n'è una più recente). In alternativa, usate ebay, non è difficile trovarne una copia. In inglese, invece, lo trovate sia in cartaceo che in digitale con il titolo Dolphin Island. A questo proposito vi segnalo che ce ne sono due versioni, una - che trovate solo su Amazon - a circa sette euro (che sono un prezzo folle, per un ebook). Kobobooks ne ha anche un'altra a 3.99 euro. Me lo sono appena comprato, se avevate qualche dubbio.

 Arthur C.Clarke - Le porte dell'Oceano, 1963



giovedì 16 maggio 2013

I musi della Parietaria 18: William Hurt

Questo musO ha un curriculum pazzesco ed è di una bravura mostruosa. E poi è un uomo indubbiamente affascinante, il che non guasta. 
La prima volta che l'ho visto ero adolescente. Il film era Il grande freddo. Gran film, Il grande freddo. Grandiosa colonna sonora, anche. E lui interpreta il personaggio più intrigante e misterioso. E Figli di un dio minore? Bellissimo. E poi Il Bacio della Donna Ragno splendido. Il libro, di Manuel Puig, è un capolavoro che merita di essere letto - ci farò un post, prima o poi. 
Vogliamo parlare di Turista per caso? Anche di questo ho letto il libro (ma preferisco il film, una volta tanto).  E poi, cavolo!, è Mr.Rochester in Jane Eyre di Zeffirelli. Sapete, amo il personaggio di Mr.Rochester - anche su questo ci farò un post. Sarà fangherleggiante, vi avviso.
Diciamo che non tutti i suoi film sono proprio eccelsi (The Village, Lost in space), ma lui è innegabilmente bravo, che sia commedia o tragedia, che gli tocchi l'eroe romantico o il cattivo psicopatico.


lunedì 13 maggio 2013

Once Upon A Time 2x22 - And Straight on 'Til Morning

Ci siamo arrivati: season finale... e la premiata ditta Kitsis&Horowitz mi ha messa nel sacco un'altra volta! 
Con un'unico episodio in cui si sono sparati tutte le cartucce che si potevano sparare, i due sceneggiatori hanno riscattato una seconda stagione nettamente inferiore alla prima, spingendomi a desiderare di poter già vedere il primo episodio della terza.
Non vi spoilererò molto - o almeno, proverò a non farlo - ma può darsi che, causa fangherleggiamenti, qualcosa mi sfugga.
Tanto per darvi la misura di quanto sia bello questo episodio, vi dico questo: perfino LOLlo fa una figura decente! (Sua Melensaggine, invece, con il cappelletto da Pierino e lo zainetto sulle spalle, porta in giro la sua faccia afflitta dai gravi rimorsi per tutto il tempo, fortuna che in questa puntata conta come il due di picche quando briscola è denari).
La parte del leone se la dividono in tre: primo, un Hook straordinario, mai così vicino a svelarsi, e, ammettiamolo, mai così affascinante, tormentato, ambiguo. Lo sceriffo Graham era un bellissimo figliolo, ma, quasi quasi, nel cambio ci abbiamo guadagnato. Scopriamo quindi cosa ha in comune con Baelfire e qual era il rapporto fra i due. Scopriamo anche qualcosa del suo passato e lo vediamo, finalmente, non redimersi, no, ma quantomeno, ecco, provarci.
Seconda, Regina. La Evil Queen stavolta dà il meglio di sé, e non intendo "il peggio", come al solito, ed entra di diritto, come dice Henry, fra gli eroi.
Infine, ma era ovvio, Mr.Gold. Sconvolto dalla perdita di Neal sta per tirare i remi in barca e lasciare che la maledizione si compia, Storybrooke scompaia e i personaggi muoiano tutti. Ma - e questo è uno spoiler - tramite Grumpy e un filtro di Fata Suorina ritrova Belle. Proprio Belle, non Lacey, i cui ricordi sono stati risvegliati. Quindi, niente più troione da sbarco, mi dispiace. È stato bello finché è durato. Grande ricongiungimento, bacio scenograficissimo, lacrime a fiumi, ma... per questi due non c'è pace: subito deve lasciarla perché Tamara e Greg hanno fallito nel distruggere Storybrooke (oh, non ve l'avevo detto? Beh, alla fine Regina ed Emma, riunendo le forze riescono a "spegnere l'autodistruzione". Un po' puerile, come escamotage, ma vabbé stiamo a badà ar capello), ma hanno trovato qualcosa che conta molto di più per il loro misterioso "datore di lavoro": Henry. 
Non solo lo rapiscono - proprio cattivi impuniti, eh! - ma, con il penultimo fagiolo magico rimasto, aprono un portale e ci saltano dentro, lasciando con un palmo di naso Regina, Emma, LOLlo e Snow.
(Apro parentesi: certo che Tamara ha proprio l'anima dell'assassina. Non fa che sparare a tutti e tutto. Stavolta, manca un po' accoppa LOLlo. Non c'è che dire, Neal ha proprio l'occhio lungo, per le donne!)
Come nelle fiabe, proprio in questo momento, quando tutto sembra perduto... prima arrivano Gold e Belle (che ha visto bene di mettersi un cappotto per non andare in giro come una scostumata), ai quali viene data la ferale notizia e poi all'orizzonte spunta la Jolly Roger. Hook, che aveva rubato l'ultimissimo fagiolo magico, sta tornando indietro a dare una mano (Ah, l'ultima volta che vi avevo parlato di lui era alleato con Tamara e Greg? Avete ragione! Il fatto è che, quando ha scoperto che distruggere Storybrooke voleva dire, sì, uccidere Rumplestiltskin, ma anche rimetterci le penne, ha visto bene di cambiare campo).
E così, un dream-team composto da Hook, Mr.Gold, Regina, LOLlo, Snow ed Emma si imbarca sulla Jolly Roger ("I offer my ship and my services" Go, Hook!) per andare alla ricerca di Henry con l'ultimo fagiolo magico rimasto. Con lo stesso incantesimo usato per localizzare Neal scoprono dove è stato portato il ragazzino. Neverland, nientemeno.
Perciò, si parte.
Belle viene lasciata indietro, a proteggere la città: come Gold le ricorda, Tamara e Greg non sono i soli e altri verranno per distruggere Storybrooke. Ci vuole un'incantesimo per nasconderla e qualcuno che faccia il guardiano del faro. L'addio fra i due è commovente, perché lui non pensa di poter tornare, a causa della profezia. Il ragazzo sarà la sua rovina, ma è anche suo nipote e, ora che Baelfire non c'è più, è deciso a salvarlo. Ma Belle non rinuncia a sperare: spesso il futuro prende forme diverse da quelle che immaginiamo. (Me lo auguro: tutte le sfighe di Rumplestiltskin hanno avuto origine da un'interpretazione letterale di quanto la veggente gli aveva detto, in fondo.)

Sapete cosa mi è piaciuto più di tutto?
  • Il dream-team. Lo so, è puerile, ma non posso proprio resistere alla fascinazione di questi individui straordinari che lavorano insieme, mettendo a disposizione ciascuno le proprie capacità e la propria competenza, per raggiungere uno scopo comune. Regina e Gold sono una forza presi singolarmente, non voglio immaginare cosa possono fare se collaborano. E anche Hook non è uno zuccherino. Stile I sette samurai. Solo, magici. 
  • Peter Pan. Non lo si vede mai, in compenso viene nominato spesso. E non in senso positivo. Nella parte di flashback i suoi Perduti (non si possono chiamare "bambini perduti" perché in effetti sono dei ragazzi) sono un'oscura tribù (a me hanno ricordato Il Signore delle Mosche). E la minaccia che il capo dei Perduti fa a Hook ("Do you know what he does to people who lie to him?" "No. But I gather it hurts." "It does. He rips your shadow right from your body. R-r-r-r-rip!") è tutt'altro che rassicurante. A quanto pare, il nostro Peter è un osso ben duro da rodere, se perfino Rumplestiltskin ne è spaventato ("Someone we all should fear"). Mi domando: sarà Peter Pan? O, magari, il dio Pan? Ah, se questo non bastasse, è alla ricerca di un ragazzo. Non uno qualsiasi, no. Uno ben preciso. E indovinate un po' chi è...
Insomma, nella prossima stagione carne al fuoco ce ne sarà tanta. Peccato dover aspettare l'autunno per togliersi la curiosità...

domenica 12 maggio 2013

L'angolo della monomania: Doctor Who 7x12 - Nightmare in Silver

Aspettavo questo episodio con ansia particolare perché è scritto da uno dei miei autori preferiti: Neil Gaiman.
La preview era succosa assai: un lunapark spaziale abbandonato. Adoro i lunapark, specie quando sono chiusi. Se poi sono abbandonati, meglio ancora.
Insomma, questo era un centro prima ancora di tirare.
L'episodio comincia poco dopo la fine del precedente, con il Dottore, Clara e i bambini che sbarcano a Hedgewick's World.
A detta del doc, è il migliore (e più grande) lunapark spaziale. Hanno pure un biglietto d'oro: entrata e gelato gratis! Il Dottore è entusiasta, gli altri molto meno. L'acidissima Angie - non la sopporto, 'sta ragazzina, è una croce - si permette pure di chiamare il TARDIS "stupid box". A regazzi', ma chi te credi de esse'?
Ma le cose, quando c'è di mezzo il Dottore, tendono a complicarsi in fretta: prima spunta fuori uno strano personaggio, che li scambia per la Dave's Discount Interstellar Removals, il suo passaggio (in ritardo di sei mesi) per lasciare il pianeta. Poi arriva un plotone di guardie imperiali. Il tizio se la squaglia, i soldati puntano loro addosso le armi, dicono che il pianeta è chiuso per ordine imperiale e chiedono di identificarsi.
Il Dottore tira fuori qualcosa che non si vedeva da un pezzo: la carta psichica e passa per un Proconsole. Breve fangherleggiamento da parte mia e andiamo avanti.
Dopo aver rispettosamente salutato, i soldati si allontanano ed ecco lo strano ometto di prima, che si riaffaccia: si presenta come Webley, l'impresario Webley. (E se vi è sembrato di averla già vista, quella faccia, beh... è stato Herrick in Being Human.)
Webley spiega loro che Hedgewick's World è chiuso e ormai in disarmo a causa di alcune sparizioni misteriose e li invita a vedere la sua "collezione". Non si dovrebbe andare dietro a chi fa certi inviti, ma tant'è: in una stanza che è un incrocio fra un salotto ottocentesco e un museo ci sono statue di cera di alieni ed è a questo punto che Webley domanda se c'è qualcuno che sa giocare a scacchi. Il Dottore alza la mano, ma è ovvio che l'invito sia rivolto ad Artie.
Ora, avete presente l'automa scacchista, il turco? No? Intendo questo qui.
Ecco, a voi la versione di Neil Gaiman.
Fico e terrificante nello stesso tempo, vero?
In realtà, dopo un primo attimo di panico, il Dottore ci mette molto poco a scoprire il trucco. Proprio come il Turco originale, anche questo cyberscacchista è mosso in realtà da mano umana. Quella di Porridge (al secolo Warwick Davis). Oltre allo scacchista, Webley ha altri due cybermen - questi sono completi - in mostra. (Sì, sono i cybermen che abbiamo già visto in azione nelle altre serie "nuove"). Il dottore, però, ha notato qualcos'altro: degli strani insettini, perciò quand'è il momento di riportare i ragazzini a casa lui dice che no, meglio di no.Ci sono questi strani insetti e deve proprio vederci chiaro. Così, messi i ragazzini a riposare nella stanza di Webley, il Doc, Clara e Porridge se ne vanno per ficcare il naso. E, come prevedibile, quella piattola di Angie, molla il fratellino da solo e, nonostante le sia stato detto di non andarsene in giro, lei non trova di meglio che andare al campo dei soldati.
E qui le cose precipitano: gli insettini prendono prima possesso dello scacchista, poi di Webley, poi i due cybermen completi e infine riescono a rapire Artie e Angie. Così, il Dottore mette Clara a capo dei soldati - proibendo di far saltare il pianeta per distruggere i cybermen con esso - e si mette in cerca dei due ragazzini.
Come prima cosa, scopre la verità sugli insettini: sono tutt'altro che naturali. Sono cybermites, una versione miniaturizzata del cybermat, quell'affarino che era tanto kawaii... almeno finché non apriva la boccuccia. Quando arriva al tavolo dello scacchista e questo non c'è più, capisce che si deve essere teletrasportato in qualche modo e, utilizzando un cybermit, che ha catturato e disattivato, riesce a seguirlo e lì trova Webley e i ragazzini ormai upgradati. E viene a sapere un po' di cose alquanto allarmanti. Tipo che durante l'ultima guerra i cybermen hanno costruito la Valkirie, una sorta di fabbrica per le riparazioni più gravi. Tipo che la ragione dietro le sparizioni da Hedgewick's World è la ricerca di parti di ricambio. E non solo: i cybermen avevano bisogno del cervello di un bambino per un nuovo cyber-Planner e lui gliene ha portati ben due. Ma c'è di peggio: i cybermites hanno scansionato il suo cervello e, visto quello, non hanno certo bisogno dei bambini. Il Dottore risponde che lui non è umano e che i cybermen sono compatibili solo con gli umani, ma... la tecnologia è andata avanti mentre lui era impegnato altrove e adesso niente impedisce l'upgrade.
E qui inizia una vera e propria battaglia fra il Dottore e Mr.Clever, come sceglie di chiamarsi il cyber-Planner che gli si è installato dentro: il Dottore potrebbe rigenerarsi e bruciare così Mr.Clever e tutte le sue connessioni, ma non vuole farlo. Inoltre, i due controllano una percentuale identica di cervello che, però, è inferiore al cinquanta per cento. C'è una piccola area che non appartiene a nessuno e che sarà il premio in una partita a scacchi. Se vince Mr.Clever, il cervello del Dottore sarà suo, al servizio della Cyberiad, per generare nuovi cybermen. Se vince il Dottore, Mr.Clever uscirà dalla sua testa, lascerà andare i bambini e nessuno morirà.
Queste sono le premesse di un episodio ricco di suspance e colpi di scena, del quale non voglio dire di più, mi sa che ho già spoilerato troppo.
Quindi aggiungerò solo due cose.
Primo: Gaiman è un grande.
Secondo: non vedo l'ora di vedere il prossimo, che è il season finale. Anche se no, non voglio saperlo, il nome del Dottore.
(In realtà, domande ne ho tantissime...
Per esempio, la tipa che si vede con Clara alla fine di The Snowmen è la mamma dei due ragazzini? Qual è il motivo - quello vero - per il quale si sente in dovere di aiutare la famiglia? Non è che ha, magari, causato la morte della mamma in qualche modo?)

sabato 11 maggio 2013

I miti della Parietaria 1: Piccole Donne - Louisa May Alcott.

Ho deciso di affliggervi con un'altra sottospecie di rubrica. La posiziono al sabato mattina, così perché mi va, e parlerà di libri: di quelli che mi sono piaciuti di più, quelli che per me hanno un valore particolare, che mi hanno segnata per qualche motivo.
Non potevo cominciare che da questo.

Ho detto spesso che il mio primo libro è stato Le porte dell'Oceano, Arthur C.Clarke. Ma quello che mi ha davvero segnata, ed ero proprio piccola, è stato questo. Penso che nessuna ragazza che ami leggere e scrivere non abbia desiderato, a un certo punto, di essere Jo March. Credo che pochi personaggi abbiano segnato - e segnino ancora, o almeno lo spero, - le lettrici come lei.
L'avevo relegato nei "libri per ragazzi", finché non mi è venuta voglia di procurarmi le versioni integrali di questo come di altri libri che sono stati importanti (e che, rassegnatevi, vi propinerò uno alla volta). L'ho riletto e, con assoluta sorpresa, ho scoperto che l'impressione che suscita è ancora forte.
Non è un libro per bambine, non appare stupido, o scontato, agli occhi di un'adulta, rimane tutt'oggi divertente e godibile, fresco e con personaggi non stereotipati, di sorprendente modernità, specie per il linguaggio rapportato all'epoca di pubblicazione.
Jo sovrasta tutti e rimane inarrivabile. Dopo centocinquant'anni o quasi, rimane intatto quel suo essere sbrigliata come un puledro, la sua aspirazione a fare il maschiaccio di casa e, soprattutto, il suo amore per la scrittura. Leggendo il romanzo, qualunque scribacchino si può riconoscere nelle fasi che attraversa durante la stesura, segnalate dal cappello con il ponpon rosso.
Perciò, ecco qua il primo mito della Parietaria: Piccole Donne, Louisa May Alcott (1868-1869).



Il paese del buon selvaggio.

Lo so che cosa è successo con Game of Thrones: è rimbalzato per la rete in ogni salsa e in ogni lingua, ma non volevo parlarne.
Perché?
Vedete, there is only one thing in the world worse than being talked about, and that is not being talked about. Volevo evitare di dare anche un minimo contributo in termini di risonanza alle persone che trovano questa serie pornografica, oscena, offensiva e quant'altro.
Però è un boccone duro da mandar giù, non solo come appassionata di fantasy e di fantastico più in generale, ma come persona.
Di GoT ho visto solo la prima stagione (in inglese, fra l'altro, perché ho qualche problemuccio con i doppiaggi che spesso fanno pietà). Mi è piaciuta e recupererò il resto. Sì, c'è del sesso, e allora?
Esiste una cosa che si chiama telecomando. Il vero strumento di democrazia universale: ti fa schifo il programma? Cambi, guardi altro e non rompi i maroni.
Sono stufa, ma proprio stufa, dell'andazzo in questo paese: che voi prendiate ad esempio libri o televisione, il punto è sempre lo stesso. Ci forniscono roba semplice, accuratamente depurata: non sia mai che si turbino i nostri poveri cervelli o quelli dei nostri poveri bambini. Non potrebbero reggere al colpo, si sa.
Perché lo spettatore - o il lettore - è un buon selvaggio, bravo, eh, per carità, un pezzo di pane, ma è scemo, non lo sa mica cosa è bene per lui. 
Ci vuole qualcuno che lo guidi, lo protegga e lo tenga al riparo dalle brutture, altrimenti non si sa cosa potrebbe combinare.
E allora, vai di fiction finte, anime censurati e libri in cui le storie d'amore sono rigorosamente etero (altrimenti, ai personaggi originali viene cambiato sesso perché le storie gay guarda no, proprio no), o di serie interrotte sempre perché guarda no, le storie gay proprio no.
Non ci credete? Cercate i volumi successivi di quella che da noi è stata pubblicata come Trilogia di Alec di Kerry. Quando i due protagonisti - maschi - si sono innamorati, ciao, hanno smesso di tradurla. Infatti, siamo arrivati a una pentalogia (e con un sesto libro che dovrebbe aggiungersi a breve), ma, se la vuoi leggere, te la prendi in inglese.
O vogliamo ricordare che hanno censurato una scena di sesso nello Stardust di Neil Gaiman?
Perciò, emigrazione mentale, ancora una volta: leggere o guardare in lingua originale. Perché all'estero non si perdono dietro a queste stupidaggini.
Di pappette riscaldate, serie tv tagliuzzate, anime rimontati tanto da non essere più nemmeno somiglianti all'originale non ne voglio sapere: se questo è ciò che il mio paese mi offre, vado altrove. Non ho bisogno di un'entità superiore neanche ben specificata che si prenda la briga di decidere cosa è adatto, o meno, per me, usando come parametro la morale cattolica che, scusate, non è la mia.
Cosa guardare o non guardare lo decido da me. Con la mia testa.
Qual è il problema, quello vero? Che se in tv passano cose come GoT non potete abbandonarci i bambini davanti mentre siete impegnati a fare altro? Che se, facendo zapping, al bambino capita sotto gli occhi una scena di sesso non siete in grado di spiegargli di cosa si tratta perché le istruzioni per l'uso non sono nella Bibbia? O che non gli potete piazzare una tv in cameretta come regalo per il terzo compleanno (giuro, mi è capitato di vedere anche questa), in modo che stia zitto e fuori dalle scatole?
Tenetevi i Cesaroni e il medico in famiglia. Io guarderò GoT. In inglese. Versione integrale. E, come segnala la Socia Ais, Vicious.

venerdì 10 maggio 2013

Wastelands - Stories of the Apocalypse

Il guaio di quando compri tanti libri è che, alla fine, non ti ricordi mai dove, come, o perché hai preso questo e quello. (L'altro è che hai una coda di lettura infinita e in costante crescita).
Questa antologia viene - penso - o dal primo Humble Bundle della mia vita, oppure da uno Story Bundle, o forse no, forse viene fuori dall'iniziativa post-apocalittica della Night Shade Books, comunque poco importa: il succo è... YAY! Ho fatto un enorme affare!
Sono al decimo racconto, il primo è di King e vi dico solo che, finora, è il più scarso. Fatevi due conti.
Roba buona, gente. Molto, molto, molto buona.
Sono affascinata dalle ambientazioni post-apocalittiche. Il pensiero del dopo, di come ci si possa (ci si debba) arrangiare, la scomposizione e il riutilizzo di macchinari, i cambiamenti sociali che potrebbero verificarsi sono per me una fonte costante di meraviglia.
Sarà che questa nostra società così industrializzata - e così votata all'autodistruzione - mi sembra incomparabilmente vuota e noiosa.
Come dicevo, si comincia con il Re - The End of the Whole Mess - e scusate se è poco. Finito quello, mi sono beccata Salvage, Orson Scott Card. A parte che lo amo da quando ho letto Ender's Game, parla di recupero. E di andare sott'acqua. In più il Mormon Sea è geniale. Insomma, è partita la ola. Arrivata al terzo - The People of Sand and Slag di Paolo Bacigalupi (il meraviglioso autore del meraviglioso The Windup Girl) - ho sparato trentasei colpi di cannone a salve dalla più alta delle mie torri in segno di giubilo, ringraziato tutti gli dei dell'universo noti (e anche no) e deciso di fare qualcosa che evito sempre, con le antologie.
Scorrere l'indice. Di solito, preferisco la sorpresa, ma stavolta se il buongiorno si vede dal mattino mi aspettavano meraviglie.
Chi ci ho trovato?
Autori che - ignorantissima me - non conosco (e che non vedo l'ora di conoscere), autori che sono nella mia to read list da secoli e autori che amo. 
Gente che non conosco (e non vedo l'ora di).
  • Mary Rickert, Catherine Wells, Elizabeth Bear, Octavia E.Butler (caso vuole che ho preso in mano uno dei suoi libri giusto l'altroieri in Feltrinelli) e Carol Emshwiller. Mi aspetto moltissimo da loro perché - oh, ve lo dico - sono donne e io sono fiera delle donne che scrivono fantascienza;
  • Tobias S. Buckell: il suo racconto, Waiting for the Zephyr, è così bello che quando sono arrivata alla fine ci sono rimasta male. Ma come? Ne voglio ancora!;
  • Jack McDevitt ma sono una capra io, perché ha una lista di libri, racconti e riconoscimenti lunga un chilometro e pubblica da decenni. Il suo Never Despair è bellissimo e adesso voglio leggere Eternity Road;
  • James Van Pelt;
  • Jerry Oltion;
  • Neal Barrett Jr.;
  • Dale Bailey;
  • David Grigg;
  • John Langan.
Gente nella to read da una vita:
  • Jonathan Lethem - How We Got In Town And Out Again, che è strano forte, perché parla di una maratona non di ballo, ma di realtà virtuale. Bello, ma altri mi sono piaciuti molto di più;
  • Nancy Kress (di suo, ho letto solo dei manuali);
Gente che UAO fangherleggio:
  • Stephen King già citato, sempre valido;
  • Orson Scott Card, la classe o ce l'hai o non ce l'hai. Lui ne ha da vendere;
  • Paolo Bacigalupi come manipola il DNA lui, nessuno mai. Il suo racconto è stre-pi-to-so;
  • Cory Doctorow: amo quest'uomo, il suo When Sysadmins Ruled The Earth è forse quello che mi è piaciuto di più, finora: è una bomba!
  • George R.R. Martin (vabbé, chevvelodicoaffà): Dark dark were the tunnels mi ha fatto strippare e non solo perché amo le ambientazioni sotterranee, ma perché mi ha ricordato due racconti che amo molto: Tumithak dei corridoi e Tumithak a Shawm, di Charles Tanner che si trovano nell'antologia curata da Asimov Alba del domani;
  • Richard Kadrey, il preferito di Marina!
  • Gene Wolfe mito, leggenda, gigante, ari-vabbé, chevvelodicoaffà.
Questo libro è l'equivalente di una gigantesca torta con tutte le cose che mi piacciono di più: mi fa venire l'acquolina e non vedo l'ora di continuare ad affondarci i denti dentro!

giovedì 9 maggio 2013

I musi della Parietaria 17: Ralph Fiennes

Ancora tuuuu, non dovevamo vederci più?
Dopo un considerevole (almeno per me) lasso di tempo, tornano i musI. E siccome tornare è un po' ricominciare - me la sono inventata sul momento, questa, non fateci caso stamane va così - ho pensato di tornare con un bel musO succoso.

In principio fu Amon Goeth, in Schindler's List. In scena non passa molto tempo, ma ragazzi se buca lo schermo! 
Dopo di questo, arriva Strange Days e mi sono innamorata di Lenny Nero in meno di tre secondi (il film, comunque, è uno dei miei preferiti a prescindere da lui e anche se c'è Juliette Lewis, che non sopporto. Che voi sappiate, SD ha qualche relazione con Flashback, l'ultimo libro di Dan Simmons? Ci sono alcune somiglianze impressionanti). Con Il paziente inglese ha fatto il botto. Drammone un po' melenso, ma lui è favoloso - quando non è sfigurato. Poi riesce a far diventare Francis Dolarhyde di Red Dragon un eroe sfortunato e le sue scene con l'attrice che interpreta Reba McClan sono assolutamente favolose.
Ha fatto un filmucolo con JLo: remake di Cenerentola con lei che fa la cameriera in un albergo di lusso.  Parecchio imbarazzante, ma s'hanno da pagare i conti e, in ogni caso, la sua figaggine è un dato di fatto.
Il suo Voldemort è terrificante e senza redenzione - come dev'essere, del resto -, ma quel trucco che gli toglie i lineamenti lo trovo... un peccato mortale!
Voglio vedere Spider - e poi leggere il libro di McGrath da cui è tratto.
Eccolo qua, in tutto il suo splendore: Ralph Fiennes. 



martedì 7 maggio 2013

Once Upon A Time 02x21 - Second Star To The Right

Lo sapete che quella di Peter Pan è una delle mie storie preferite e anche quella che mi ha spaventato di più in assoluto, quand'ero piccola?
Peter Pan non vuole crescere, non vuole invecchiare, non vuole morire.
Tutti muoiono, dice la signora Darling a Wendy, quando la piccola ha solo tre anni.
Anche tu, mammina? chiede lei.
Per un lettore bambino, questo sottotesto è parecchio pesante. Ma qui stiamo parlando di Once Upon A Time, e stiamo parlando della risposta alla domanda che ci si pone fin dall'inizio della seconda stagione: Baelfire è Peter Pan, oppure no?
Potrei dirvelo. O potrei tacere.
Facciamo che ve lo dico, quindi da qui in avanti...

SPOILER ALERT!

Allora, questo episodio, come s'è capito, è incentrato su Baelfire, e inizia nel momento stesso in cui Rumplestiltskin lo lascia cadere nel vortice creato dal fagiolo magico che lo trasporta a... Kensington Gardens, Londra, fine Ottocento.
Pochi mesi dopo, Bae è diventato un ragazzo di strada e viene sorpreso a rubare del pane da una casa. Chi lo scopre è una ragazzina che si chiama - indovinate un po'? - Wendy Darling.
Wendy lo nasconde e gli dà da mangiare finché non viene scoperta dai genitori. In breve, Bae viene adottato dai Darling.
Ed è a questo punto che Wendy gli racconta dell'Ombra. Più o meno da quando Bae è arrivato dai Darling, un'ombra scende dal cielo. Può fare qualsiasi cosa: se gli dai la mano ti farà volare fino a Neverland, un posto fantastico, dove non ci sono adulti a rompere e puoi vivere ogni sorta di avventura. Wendy e i suoi due fratelli sono entusiasti, ma Bae è di tutt'altra opinione: magic always comes with a price e fa promettere agli altri di non lasciarsi assolutamente irretire.
Ma Wendy, alla faccia del fatto che le bambine sono troppo furbe per cadere dalla carrozzina, finisce per volarsene via. Quando ritorna, però, è tutt'altro che contenta.
Perché, sì, Neverland è fichissima ci sono le sirene, i pirati, tutto quanto il cucuzzaro, ma l'Ombra, una volta che ti porta via, non ti lascia mica tornare indietro.
E com'è che sei qui?, domanda Bae con infallibile acume.
Eh, perché l'Ombra non mi vuole. Vuole solo i ragazzi. Quindi stasera dice che torna e viene a prendere uno dei miei fratelli, risponde Wendy "lacrime di coccodrillo" Darling.

Bel casino! Così i tre cercano di difendersi, chiudendosi dentro la stanza, ma l'Ombra ride loro in faccia - o lo farebbe, se avesse lineamenti -, entra lo stesso e si sta per prendere il più piccolo, quando Bae si sostituisce a lui... e finisce per svolazzare all'impazzata su Londra. Quando è in vista dell'Isola, però, si ricorda di avere in tasca dei fiammiferi - li aveva usati per accendere i lumini da notte in camera - e con quelli spaventa l'Ombra che lo molla, facendolo finire in mare, dove viene ripescato indovinate un po' da chi? Dal pirata più fico in circolazione.
Così, ecco qua: Neal-Bae non è Peter Pan. In effetti, Peter non si è visto. C'è solo la sua Ombra ed è abbastanza inquietante, devo dire. Ed ecco perché conosce Hook.

Nel presente, a Storybrooke ci sono guai in vista: Regina è sparita e Emma, LOLlo e consorte sospettano che le sia successo qualcosa. Anche perché fanno irruzione nel suo ufficio a pistole spianate (non si possono guardare, quando fanno Scuola di Polizia) e scoprono: l'unica pianta di fagioli rimasta (anche se i fagioli sono spariti) e anche che l'allarme è stato forzato.
Così, vanno da Gold, il quale 1) ha già litigato con Neal; 2) fa coppia fissa con Lacey (grezza e beona come non mai). Lui non sembra molto felice di vederli, ma deve un favore a LOLlo e lui lo incassa: gli fa preparare una pozione che permette a Snow di vedere, sentire e provare quello che prova Regina. Nel frattempo, Emma è sempre più sicura che dietro a tutto ci sia Tamara, anche se Neal la difende.
La nostra Evil Queen è davvero nei guai: Greg la tortura a forza di scosse elettriche per farsi dire che fine ha fatto suo padre. Si viene a sapere che Tamara e Greg non lavorano mica da soli, no. Hanno delle persone - probabilmente un'organizzazione - che li spalleggia. E il loro scopo è purificare il mondo dalla magia. L'hanno già fatto: Storybrooke  non è mica il primo posto con magia che vedono. (E, a questo punto, capisco come mai Tamara ha ucciso il drago.)
In breve, Emma, Neal, LOLlo e Snow trovano Regina e, mentre Snow e LOLlo si fanno scappare Greg come una coppia di fessi, Emma e Neal sono ancora lì a battibeccare su Tamara, quando proprio lei si rivela: stende Emma con una spranga,  sbatte sul grugno a Neal che è stato tutto un trucco, compreso il loro primo incontro, e poi, come se non bastasse, gli spara pure. A quel punto, Emma si ripiglia c'è una bella scena di catfight - in effetti, Tamara non l'ho mai sopportata, quindi tifavo per Emma - ma la stronza ne sa una più del diavolo e usa un fagiolo magico - che Greg le aveva dato in precedenza - per aprire un portale. Emma sta per cadere, Neal la salva, sembra che sia tutto a posto, ma scordatevelo proprio, il pavimento si apre sotto i piedi di Neal che finisce per rivivere ciò che era successo con suo padre: sospeso sull'abisso con Emma che lo tiene. Lei non vuole mollarlo, quasi quasi si lascerebbe cadere, ma lui le ricorda che deve badare a Henry, grandi confessioni d'amore - che, vabbé, mi lasciano un po' tiepidina - e poi lui cade. Ferito? Morto? Boh, non si sa.
Nel frattempo, LOLlo e Snow portano Regina - un'altra che è ferita, forse morta, non si sa - a casa di Snow e convocano d'urgenza Fata Suorina, mentre Greg è nella foresta. Regina ha confessato di avere ucciso suo padre e di averlo seppellito lì e, infatti, lui trova il cranio e pezzi dei vestiti. Quando arriva Tamara, però, si accorgono di avere in mano più o meno il carico di briscola. Ve lo ricordate il diamante, quello della volta scorsa, quello di Malefica versione zombie? Ecco, quello.
È la chiave per far saltare in aria Storybrooke. Ce l'hanno loro. E sanno a cosa serve.
Ho idea che sarà un season finale con il botto. Nel senso più letterale del termine.

lunedì 6 maggio 2013

L'alienista

Ve l'avevo detto, no?
Prima di tutto, disclaimer: adoro questo libro.
Potrei pure concluderla qui, non fosse che voglio fargli una pubblicità spudorata.
Quindi:
  • se vi piacciono i thriller intelligenti e complicati al punto giusto;
  • se i serial killer e il profiling vi affascinano;
  • se la NY fine Ottocento vi interessa;
  • se volete rimanere con il fiato sospeso fino all'ultimo;
  • se amate i personaggi, diciamo così, scomodi;
  • se vi fa strippare il mix fra personaggi storici e personaggi di fantasia;
  • se volete un solido lavoro di ricerca, personaggi fantastici e un ottimo stile...
dovete leggerlo.

NY fine Ottocento. La città che non dorme mai è un posto violento, fetido e pericoloso. Mentre gli enormemente ricchi lo diventano ancora di più accumulando fortune che diverranno leggendarie (J.P. Morgan, anyone?), nei bassifondi i poveri, gli immigrati e i reietti cercano di sopravvivere in condizioni disumane, la mala sbriga i suoi affari e tira le fila della corruzione come un burattinaio. Theodore Roosevelt è appena diventato Capo della Polizia e non è tanto ben visto perché ha cominciato un profondo repulisti: via la gente corrotta e dentro persone giovani, donne - in via sperimentale e solo come segretarie - e - udite, udite - anche gli ebrei. In questo clima così teso, viene ritrovato il cadavere mutilato di Giorgio Santorelli, alias Gloria, un ragazzino dedito alla prostituzione. Normalmente - se questo può essere considerato normale - nessuno avrebbe investigato: in una città che pare un formicaio, a chi può importare di un ragazzino in più o in meno. Ma Roosevelt non la pensa così e il fatto che - in mancanza di un medico legale disponibile - ad esaminare il corpo ancora sulla scena del delitto sia stato chiamato il dottor Laszlo Kreizler, di professione alienista, dà alla vicenda una piega inaspettata. Perché Kreizler si accorge che sono stati commessi errori terribili, che quello non è un omicidio perpetrato nell'ambiente della mala, ma qualcosa di molto diverso e più terrificante e, soprattutto, che Giorgio non è la prima vittima.
Attorno alla figura di Kreizler - affascinante, cervellotico e geniale, che difende la sua umanità e non la lascia intravedere quasi mai - si muove una squadra di persone dalla reputazione dubbia quanto quella dell'alienista (tacciato da più parti di ciarlataneria): John Schuyler Moore, la voce narrante, giornalista del Times e conoscitore dei bassifondi ripudiato dalla famiglia, Sara Howard, la segretaria di Roosevelt, il cui sogno è diventare la prima poliziotta di NY, i fratelli Marcus e Lucius Isaacson, l'uno specializzato in criminologia e l'altro in medicina legale, discriminati nella polizia sia per la loro fede nei metodi moderni e nella scienza, sia in quanto ebrei. Insieme a loro ci sono i tre "custodi" di Kreizler: Stevie "Steviepipe" Taggart, anni undici, tabagista, scommettitore ed ex-ragazzo di strada, condannato per aver aggredito - con un tubo, da cui il soprannome - una guardia dell'orfanotrofio in cui era rinchiuso, Cyrus Montrose, un nero gigantesco, ex-pianista da bordello che ha ridotto in fin di vita un poliziotto e Mary Palmer, la cameriera, affetta da afasia sia della parola che della scrittura, la quale, a diciassette anni, ha incatenato il patrigno a letto e l'ha bruciato vivo. Tutti e tre sono, in realtà, delle vittime che Kreizler è riuscito a salvare prendendole con sé... ma che non mancano mai di inquietare John a causa del loro passato.
La squadra di Kreizler, messa insieme in segreto perché il loro coinvolgimento può costare a Roosevelt il posto, è dunque composta da, beh, da reietti, da gente che non viene ritenuta, per un motivo o per l'altro, attendibile. Saranno loro, cercando di applicare non solo le tecniche investigative più moderne per l'epoca - per esempio, le impronte digitali, che non erano ancora ammesse come prova in nessun tribunale, o il sistema Bertillon - ma, soprattutto, una forma rudimentale di profiling a cercare di catturare questo assassino. L'indagine sarà ostacolata da innumerevoli pressioni - sociali e non: la mala, con i suoi interessi, le chiese cattolica ed episcopale per una volta unite, che cercheranno di insabbiare il caso... e scordatevi che io vi spoileri il finale.
Insomma, il libro è splendido: non oso pensare quante ore di ricerca sia costato a Carr, ma ha fatto un lavoro egregio. I personaggi sono fantastici: verosimili, tridimensionali, credibili. La caccia all'uomo non ti lascia un attimo di respiro. E, soprattutto, il killer, che aleggia su tutto, anche se non lo si vede fino all'ultimo, la sua vita e la sua psiche ricostruite passo dopo passo, un frammento alla volta.
Ora, immaginiamo che vi stiate chiedendo... e dove lo trovo? Su internet è il modo più semplice.
Ha anche un seguito (L'angelo delle Tenebre) che è, a mio parere, un po' meno riuscito, ma ha al centro una serial killer donna, il che è interessante a prescindere. Caleb Carr ha scritto anche altre cose, che in Italia ovviamente col cavolo, quindi penso che me le prenderò in inglese (e in digitale, visto che ci sono).
Hey! Ancora qui state, dopo tutta la fatica che ho fatto? Filate a procurarvi L'alienista!

Un'ultima cosa. Visto che viene più volte nominato, nel libro, guardatevi questo:

 

domenica 5 maggio 2013

Forse dovrei smetterla...

...di accumulare libri sul comodino! (Ma come facevano a starci tutti, là sopra?!)


L'angolo della monomania: Doctor Who 7x11 - The Crimson Horror

Ok, Mark Gatiss, stavolta mi sei piaciuto. 
Non siamo ai livelli di The Unquiet Dead (lo so, è fastidiosissimo quando qualcuno continua a dire che in passato le cose si facevano meglio!), ma stiamo migliorando.
Yorkshire, 1893.
Succedono cose parecchio strane, tipo ritrovamento di cadaveri completamente cremisi nel canale. In città lo chiamano The Crimson Horror. Il fratello dell'ultima persona ritrovata - un giornalista di nome Edmund - decide di ingaggiare Madame Vastra per investigare. Ha fatto una straordinaria scoperta: a dispetto dell'impossibilità fisica, sulle pupille del morto è rimasta impressa l'ultima immagine che ha visto.
A lui non dice niente, ma Vastra e Jenny rimangono di sale: è la faccia urlante del Dottore.
Sembra che al centro di tutto ci sia Sweetville, una comunità chiusa, governata da Mrs. Gillyflower chimico e ingegnere di talento. Solo i migliori vengono selezionati per andare a stabilirvisi perciò il piano è presto fatto: Jenny si infiltrerà e cercherà il Dottore.
E, in effetti, lo trova, color pomodoro e incapace di parlare e - quasi - di muoversi. Ma gli ci vuole poco per rimettersi in sesto e spiegare - con una sequenza in seppia che ricorda gli albori del cinema - come lui e Clara, diretti a Londra, abbiano invece sbagliato posto e siano capitati giusto durante il ritrovamento di un corpo, abbiano deciso di ficcare il naso, aiutati proprio da Edmund. Di come siano stati ficcati, incoscienti, in un'enorme vasca di liquido rosso... e di come il Dottore sia finito, color cremisi, nella pila degli scarti, destinato ad essere buttato nel canale e salvato solo per un caso da Ada, la figlia cieca di Mrs.G.
Così, in attesa dell'arrivo di Madame Vastra e di Strax, i due cercano Clara. Jenny non capisce di cosa il Dottore stia parlando - Clara è morta, no? - e l'unica risposta che ottiene è It's complicated.
Grazie tante, Doc.
La trovano, Clara. Sottovetro, insieme a un tizio, lei seduta a un tavolino, lui in piedi, con una pompa che li tiene sottovuoto, insomma, un bel valvolone dei tempi che furono. 
Ora voi vi chiederete, perché?
Perché la Gillyflower è fuori di testa e ha in mente di provocare l'apocalisse e poi risvegliare le coppie - apposta ha selezionato i migliori - per un nuovo Eden. E come la provoca, l'apocalisse? Con il veleno rosso che - si scopre - è la secrezione di un parassita preistorico (Madame Vastra lo riconosce) e... non vi dico altro, non voglio spoilerarvi tutto quanto.
La storia si segue bene, il Dottore e Clara stanno finalmente raggiungendo la giusta tensione, Strax è adorabile e Jenny una forza.
Gli episodi ambientati in epoca vittoriana hanno sempre quella allure steampunk che, a livello visivo, non mi dispiace affatto e, anche se la trama è abbastanza classica, non ho avuto la sensazione di "già visto-già sentito" come nei tre episodi precedenti. Il Dottore è meno pasticcione e meno alieno - gioco di parole, lo so, ma è una delle caratteristiche di Eleventh che proprio non mi vanno giù. E ci sono alcuni gadget - due parole: organo e razzo - che mandano in visibilio il Piccolo Nerd.
Continuano le citazioni - "Did you miss me?" - ma le trovo piacevoli.
Quanto al resto... vabbé, ci sono alcune cosucce che accadono un po' "perché sì", tipo il Dottore che sa come eliminare l'effetto del veleno (non solo su di lui, ma anche su Clara), o Edmund che fa irruzione nella cella dove Ada ha nascosto il Dottore e non si capisce come faccia ad aprire la porta, visto che è mezzo morto e che Jenny, in seguito, ha dovuto scassinarla.
In alcuni punti i dialoghi e la recitazione mi sono sembrati un po' troppo caricati, specie da parte di Dame Diana Rigg e specie nel finale (meravigliosa invece Rachel Stirling, che interpreta Ada). Poi... il mostrino era veramente bruttarello, diciamocelo.
Nel complesso, non si avanza molto nella soluzione del mistero-Clara, ma non ho tutta 'sta fretta e una bella divagazione fine a se stessa, scusate, ma mi ci voleva proprio.
Ma perché deve esserci sempre un mistero da risolvere a stagione? Non bastano le avventure che ti capitano quando vai a zonzo per lo spaziotempo?
Adesso, a quanto pare Clara è stata sgamata da Artie e Angie, che, dopo averle mostrato una serie di foto che la ritraggono nelle avventure precedenti, pretendono un giro sul TARDIS (fra l'altro, in una di quelle foto non c'è lei, ma l'altra Clara, quella di The Snowmen).
Nel prossimo episodio (l'ultimo prima del gran finale, a quanto pare) spuntano di nuovo i cybermen e l'ambientazione - un luna park spaziale abbandonato - promette bene. Anche perché l'ha scritto Neil Gaiman.
Vedremo...

sabato 4 maggio 2013

Il vampiro di New York (no, non sbrilluccica).

Come sia finito in casa mia non lo so. Giro bene alla larga dai vampiri, vista la disgraziata deriva buonista che hanno preso in questi anni. 
Però che dirvi? L'altra sera avevo bisogno di degradazione - sapete, quando siete depressi e vi rimpinzate di schifezze, immedesimandovi in Bridget Jones che sbafa cioccolatini mentre canta in lacrime All by myself davanti alla tv - ho frugato e ho trovato 'sto libro. Mi sono detta, massì, una bella vaccatona di quelle con storia d'aMMore insulsa compresa! Perché ve lo racconto (a parte il perché è sabato mattina e non ho voglia di mettermi dietro alle faccende)? Perché per me l'equazione era:
Dracula + trasferta a NY = emulo più o meno triste del già di suo triste Tuailait.
Guardate come quell'insulso aborto di libro ha modificato i miei pregiudizi: l'associazione vampiro-stronzata è partita automaticamente.
Invece il libro non era affatto come mi aspettavo. O meglio, sì e no.
Ci sono i vampiri? Tristemente, sì.
Sbrilluccicano? No.
C'è la storia d'aMMore? Boh.
Insomma, il discorso è questo: il libro si configura come un thriller. Sì, avete capito bene. 
E si muove su due piani temporali distinti: il primo decennio del Duemila - mi pare 2009, ma non ho voglia di controllare - e il 1863. Luogo: NY city, of course.
In pratica: in un cantiere trovano il corpo mummificato - non mummificato con le bende, no, la mummificazione naturale - di un uomo e, siccome 'sto cantiere è di proprietà della solita multinazionale con mani in pasta ovunque (che col cavolo che vuol farsi fermare i lavori), viene iniziata un'indagine. Non solo archeologica - la protagonista è archeologa, casomai ve lo steste domandando - ma proprio di Polizia, con tanto di investigatore assegnato al caso, perché tipo la multinazionale sostiene un candidato sindaco "dei ricchi" il quale (va da sé) è razzista, xenofobo e pure un po' bastardo e vuole evitare che il candidato dei poveri (ovviamente nero) sfrutti il disinteresse per il  morto in campagna elettorale. Perché il morto è un marinaio. Un marinaio di colore.
L'altro piano temporale è il 1863: il conte Draculia (sì, scritto così) sbarca a NY sotto il nome falso di Enoch Bale (dopo essere scampato a un naufragio, tanto per gradire) e dopo poco arrivano i fratelli Van Helsing, da poco orfani di padre, che inseguono il vampyr (sì, scritto così), per vendicarsi.
L'indagine e la caccia all'uomo alla fine si riveleranno strettamente connesse e l'una permetterà di svelare il segreto dell'altra.
Ora, normalmente io sono abbastanza rognosa con le rivisitazioni e il riutilizzare personaggi altrui (a meno che lo scrittore non sia Kim Newman. Lui può fare tutto!). Se poi parliamo di Dracula, lo sono ancora di più (a meno che lo scrittore non sia Kim Newman l'ho già detto?).
Mi aspettavo un orrido paranormal romance e no, non lo è. Almeno mi sono risparmiata la storia d'aMMore melensa. Si legge, eh. Voglio dire, mi aspettavo peggio.
Però:
  1. Draculia che è bravo ma ce l'hanno tutti con lui? No. Scusate, no. C'ha pure la tisi come Mimì. Gli manca solo qualcuno che gli canti che gelida manina.
  2. Il fedele servo cinese di Draculia. Really?
  3. I cattivi, anzi, kattyvi sono i dampiri, che sono brutti, sporchi e pure scemi.
  4. Il Kattyvo - notare la kappa maiuscola - che è fuori di testa come un poggiolo e pure vampyr rinnegato e serial killer no. Fra l'altro, Draculia lo insegue da 'na vita, non è mai riuscito a ucciderlo e lo fa fuori  l'archeologa in due - dico due - righe?
  5. La figlia di Van Helsing si chiama Echo. E gli altri come si chiamano, Charlie, Tango e Bravo? Mapperfavore!
  6. Che-diavolo-è-quel-finale?! Appiccicato con lo sputo, insulso, che non c'entra una ceppa col resto, ma perché? L'archeologa che si fa vampirizzare per vedere il futuro? Di tutte le cose sceme...
  7. In realtà, questa è una storia vera che Bram Stoker avrebbe sentito da Mark Twain che era parente di una delle tizie coinvolte con Echo Van Helsing? Ma anche no, grazie.
  8.  L'archeologa che discende da Echo Van Helsing? Ma anche no, grazie II la vendetta.
  9. Come mi suggerivano - a giusta ragione: Fanucci, la copertina con il tizio sbavato - fra l'altro il vestito non si può guardare e il cappello manco - è leggermente fuorviante. No, così per dire, eh.
Però un lato positivo c'è - a dire la verità ne ha diversi: non è eccelso, ma neanche indegno - la parte ottocentesca, combinata con la presenza di un assassino seriale, mi ha fatto venire voglia di rileggere uno dei miei libri preferiti di sempre. L'Alienista. Ve ne parlerò, prima o poi.