sabato 29 giugno 2013

Margherita Hack e la donna che vorrei.

Questa notte è morta l'astrofisica Margherita Hack.
Se un giorno mai avrò una figlia, questo sarà uno degli esempi che le porterò: una donna tenace, intelligente e spiritosa. Di immensa cultura. Una che ha rispetto di se stessa. Una che non ha timore di parlar chiaro e dire cose - anche scomode - secche sul muso.
In un paese nel quale abbondano esempi di donnucole che mi fanno vergognare di essere donna io stessa, che sbattono le tette in faccia al mondo a favore di telecamera solo per un quarto d'ora di celebrità, che la  smollano a destra e a manca a questo o quel titolare di conto in banca milionario facendo merce di se stesse per vivere senza pensieri una vita di lusso, Margherita - e Rita Levi Montalcini, non dimentichiamola - erano luci. 
Brillavano, rischiarando le tenebre di questo becero ritorno alla cultura della donna-oggetto, esempi di dignità: la dimostrazione vivente che si può essere qualcosa di più di portatrice sana di tette e vagina. 
Che si deve essere qualcosa di più che una portatrice sana di tette e vagina.
Non ci sono più. 
E chi, come me, pensa che sia più importante essere intelligenti, consapevoli e acculturate che belle, belle e ancora belle, in questo buio si sente più sola. E molto triste.

martedì 25 giugno 2013

Un nuovo modo di concepire i libri

Ho sempre pensato che i soldi spesi in libri siano in assoluto i soldi spesi meglio (uniche eccezioni: in negativo, quelli spesi in libri brutti e, in positivo, quelli spesi in vacanze). 
A parte questo, ho sempre pensato che il libro ti dà molto più del valore monetario dell'oggetto.
Come si può dare un prezzo al divertimento, alla riflessione innescata da una storia, a tutte le emozioni che leggere porta con sé? E l'apertura mentale, la cultura, gli orizzonti più ampi, come li prezziamo, quelli?
Lo penso ancora, sia ben chiaro.
Fra, per dire, libri e scarpe, sceglierò sempre i primi (e se scelgo le seconde vuol proprio dire che ormai ho i buchi nelle suole!).
Tuttavia, qualcosa è cambiato, negli ultimi tempi, per via della concomitanza di due fattori: la crisi economica e l'avvento del digitale.
Non ho problemi ad ammettere che, prima di comprare il Sony, almeno venti euro a settimana li lasciavo in libreria. Al mese fanno ottanta euro. All'anno fanno novecentosessanta euro. Questo in media, eh: non ho considerato né le aste imperdibili su ebay, né il banchetto dell'usato, né gli occasionali acquisti in edicola. (Ho lasciato fuori i manga - non ne compro quasi più, ma per un periodo ho lasciato in fumetteria cifre notevoli - visto che sul reader non li leggerei comunque.)
Quando l'ho comprato, il mio Sony PRS-350 costava duecento euro.
Fatti due conti della serva, ne ho ammortizzato il costo in... più o meno tre mesi, perché è vero che ho smesso di andare in libreria, ma è altrettanto vero che ho iniziato a comprare ebook. Che (per fortuna) hanno - quando chi li commercializza non è un completo idiota - prezzi molto più bassi.
Il beneficio sul portafoglio è stato immediato e notevole.
L'avvento del digitale nella mia vita ha avuto due effetti collaterali importanti.
Primo, mi si è aperto un mondo: quello della lingua originale. Avevo iniziato a leggere in inglese già da prima, ma vuoi mettere avere a disposizione un vocabolario integrato? Sono poco più che autodidatta, io, e, soprattutto all'inizio, la fatica quasi rovinava (sottolineo quasi) il piacere della lettura. E poi, non si trattava più di aspettare tempi di spedizione e subire i capricci del corriere: un download e il gioco è fatto.
Il secondo effetto collaterale è ciò che mi ha ispirato questo post e di cui ho risentito gli effetti qualche ora fa: ho ridefinito i miei parametri di accettabilità del prezzo dei libri.
Prima, spendere quindici, diciotto o venti euro in un libro mi sembrava normale: non ho mai pensato che fossero "troppi". Una volta comprato il Sony, queste cifre hanno iniziato a sembrarmi spropositatamente alte.
Questa sera, in libreria mi sono capitate due cose.
Mentre vagolo di fronte a quel triste surrogato che è lo scaffale del fantasy nella Mondadori cittadina - triste, ma, lo devo dire per onestà intellettuale, non tanto quanto il suo omologo Giunti - mi casca l'occhio su I pirati fantasma di Hodgson. 
Lo prendo su. Brossura, una bella copertina con un veliero adeguatamente macabro. Lo apro. Scritto gigantesco e aiutatemi a dire gigantesco. Guardo il prezzo. Quindici euro. Lo stesso libro che, quest'inverno, ho pagato - in digitale - quarantanove centesimi (guardate qua se dico balle).
Faccio notare la differenza all'amica che è con me (ovviamente, evitando di farmi sentire dalla commessa, non mi pareva carino) e passo oltre, solo per fermarmi di fronte a una copertina che mi è familiare.
Non ci credo! Hanno tradotto Married with zombies! Voglio leggerlo da quando ne ha parlato Giovanni! Gli hanno messo un titolo un po' così (Finché zombie non ci separi), ma, cavolo, è arrivato davvero nelle italiche lande! Finalmente qualcuno che investe in cose decenti e non nelle solite puttanate YA!
Lo prendo, lo sfoglio, leggo qualche frase qui e là, poi, solleticata, guardo il prezzo: quindici euro.
A quel punto, con il libro ancora in mano, mi sono domandata: ma vale la pena? Vale la pena comprare un oggetto che leggo, finisco e poi metto lì a prendere polvere?
E mi è venuto in mente Joyland.
Ora, Joyland è uscito solo in cartaceo e, visto che il Re è il Re, ho deciso di comprarlo. 22/11/'63 lo devo ancora finire (non mi ha preso, ma per niente), ma il lunapark è un'ambientazione che mi affascina, quindi mi son detta: "Va bene, facciamolo."
(L'ho ordinato on line, fra l'altro, perché possiamo dire qualunque cosa di Amazon, ma i fatti parlano chiaro: tre euro secchi meno del prezzo in libreria.)
Comunque, l'ho letto. Ci ho messo, sommando tutto, un cinque ore. Dopodiché, mi sono trovata fra le mani questo oggetto e... non sapevo che cosa farmene. Sì, lo metto nella libreria in mezzo agli altri, e poi?
Mi è sembrata una cosa inutile quanto conservare le carte dei cioccolatini: cosa le tieni a fare? Il buono te lo sei già pappato!
(Lo so che il libro, volendo, puoi rileggertelo. Ma quando in casa cominci ad averne un buon numero - cinquecento o giù di lì - e continui a comprarne, quante volte lo riprenderai in mano?)
Quello che il libro mi dà - quello che è importante - è qualcosa di immateriale. Vale la pena sobbarcarsi il costo del contenitore (che, non scordiamolo, fa la parte del leone nella composizione del prezzo), se quello che conta è il contenuto?
Gli ebook non mi fanno questo effetto: vuoi per "l'immaterialità", vuoi per i prezzi in genere più contenuti (con le debite eccezioni: CE italiane che mettono i digitali allo spropositato prezzo di dodici euro, o anche - ma è più raro - CE straniere che ne chiedono otto per una ristampa di Arthur C.Clarke).
Forse leggendo questo post può sembrare che io valuti poco il contenuto, visto che tendo al risparmio. Non è così: è solo che il libro - l'oggetto - non mi serve. Non mi serve la carta, non mi serve la stampa, non mi serve la distribuzione.
Io voglio la storia e per quella sono disposta a pagare. Perché, se si ha un minimo di oculatezza nello scegliere, per quella sì che vale la pena!

Richard Matheson (1926-2013)

A giugno 2012 - Ray Bradbury. Una botta terrificante.
Ma non era mica finita.
Nell'arco di questo 2013 abbiamo perso Jack Vance, Iain M.Banks e adesso Richard Matheson.
Ho capito che prima o poi tocca a tutti. È che quando scompare gente che ha significato così tanto e ti ha insegnato così tanto rimani sbigottito. Non li hai mai conosciuti, ma, all'improvviso, ti manca un pezzo.
È come vedere andare in frantumi un'opera d'arte, qualcosa di unico, irripetibile. Insostituibile.
E sì, siamo tutti unici e irripetibili e insostituibili per le coloro che ci amano. Però loro lo sono per molte, moltissime persone: tutti coloro che hanno sfiorato con le loro storie.
Quelli che si sono goduti la lettura, quelli che, andando oltre, hanno cercato di prendere esempio, di seguirli, per imparare quel mestiere così difficile, meraviglioso e sfuggente che è lo scrivere.
Le parole sono pietre, si dice. Significa che hanno un peso e non possono essere usate con leggerezza.
Sapete cosa penso io? Che, se sono pietre, fanno anche qualcos'altro.
Restano.

lunedì 24 giugno 2013

Non solo macchine

Stare con un abarthista (o con un qualunque fissato di macchine) è, fatemelo dire, una solenne rottura di palle.
Prendiamo ieri, per esempio.
Domenica.
Caldo torrido.
Sole.
Cosa fa una persona normodotata e abitante nei pressi del mare? 
Va in spiaggia, si stravacca a pancia all'aria dopo essersi abbondantemente cosparsa di crema protettiva e si rilassa fra un bagnetto e l'altro.
Invece no.
Si alza alle sei per farsi duecento chilometri ed arrivare entro le nove (poi erano le nove e mezzo, ma non ha importanza) in paesino sparso nella piana modenese: San Possidonio.
Vi pare di averlo già sentito nominare? Beh, è così.
San Possidonio ha avuto la dubbia fortuna di essere l'epicentro della scossa di terremoto del 29 maggio 2012. Grado stimato dall'INGV: 5.3 Richter.
Perché ve ne parlo (a parte perché sono un geologo e questa è la mia deformazione professionale)?
Perché il raduno era "sponsorizzato" anche dal Comune e abbiamo avuto la fortuna di poter parlare con l'assessore ai Lavori Pubblici e alla Protezione Civile che prima ci ha illustrato - con l'aiuto di un video - cosa è successo e com'era la vita in emergenza e poi ci ha fatto visitare la chiesa di San Possidonio Vescovo e le nuove scuole, ricostruite in tempo record dopo che asilo, elementare e medie sono andate distrutte.
Detto senza mezzi termini: mi sono vergognata.
Sia in paese che lungo il tragitto per arrivare le tracce del sisma si vedono ancora: la strada stessa porta i segni delle onde di superficie. Ci sono abitazioni con evidenti segni di ristrutturazione e altre invece messe in sicurezza ma inagibili. Però quello che si vede è niente rispetto a quello che c'era.
In poco più di un anno, stanno tornando alla normalità: si sono rimboccati le maniche (pensate che, nella zona industriale, le attività produttive si sono rimesse in piedi con soldi propri, non hanno avuto aiuti e questo è scandaloso in un paese civile). Hanno ricostruito la scuola in sessantadue giorni e l'hanno fatta in legno intonacato e progettata non solo con criteri antisismici ma anche di ecocompatibilità e risparmio energetico. Non è ancora finita: ottantatre famiglie sono negli ultimi moduli abitativi, ma si prevede che la loro permanenza non duri ancora molto.
Ma, al di là dei fatti, anzi, delle strutture, ciò che si percepisce (e che ti lascia ammirata) è lo spirito di questa gente. Oltre alla paura, alla rabbia e al senso di sradicamento che un sisma porta con sé (tutte le catastrofi naturali fanno questo effetto, ma il sisma più di altre: puoi prevedere un'alluvione, un tornado, hai un minimo di preavviso. Un terremoto no), c'è una volontà ferrea di ricominciare, di tornare alla normalità, di non darla vinta alle circostanze.
Adesso, fatevi un giro in Val di Vara, oppure nelle Cinque Terre (e no, non vale andare nei fancy-paesini sul mare: quelli sono stati rimessi a posto per i turisti). O, ancora, andate a vedere a che punto è il Ponte della Colombiera. Non lo vedete? Per forza: non c'è! Due anni e mezzo dopo, cantiere iniziato e tutto fermo. E non ditemi che non serve, perché collega la città alle spiagge di Fiumaretta e Marinella e la gente, lì, di turismo ci campa.
Cantieri aperti e abbandonati, strade dissestate, mucchi di macerie lasciati a marcire al sole. La strada dei Santuari, via panoramica a picco sul mare, è chiusa da due anni e mezzo. Non si sa quando (se) verrà riaperta.
Facciamo che non vi dico altro, và. Tanto la morale della favola mi sa che l'avete capita lo stesso.

venerdì 21 giugno 2013

Vivere in apnea

È un po' che non ci si sente, eh?
E vi scrivo fra una scossa di terremoto e l'altra, tanto per non farmi mancare nulla. (Se ho ragione, ne avremo per un bel po', ancora.)
Ma, a parte questo, la ragione per cui ho smesso di essere presente qui era che stavo aspettando. Aspettavo i risultati di un esame medico. Con ansia.
Tutto bene, fortunatamente, ma, in tutto questo tempo, ho vissuto davvero in apnea.
Volevo solo dirvi: ho ricominciato a respirare.

sabato 8 giugno 2013

I miti della Parietaria 5: Uomini e topi - John Steinbeck

Questo signore qua rientrerà fra i miti della Parietaria più volte e decidere di quale romanzo parlare per primo non è stato facile. Perché lui è uno dei miei miti a prescindere e sono cresciuta leggendo ciò che scriveva.
Alla fine, però, la decisione è stata presa. 
E a spuntarla è stata una piccola storia, una storia semplice: quella di due braccianti che, nel periodo immediatamente successivo alla Grande Depressione, cercano di mettere da parte i soldi per comprarsi un pezzetto di terra. C'è una vecchia coppia, vedete, che è proprio in bolletta e la dà via per un buon prezzo. Seicento dollari per la casetta e dieci acri di terra. C'è un frutteto e ci sono campi da coltivare. Potrebbero mettere delle galline e vendere le uova. E allevare i conigli. 
I conigli sono fondamentali.
Badare ai conigli è tutto quello che Lennie vuole dalla vita. Perché Lennie è grande, grosso e con una forza spaventosa, ma è un bambino. E tutto ciò che ha è George, il suo amico, che bada a lui e, spesso, condivide le sventure e i guai che Lennie, senza volere, combina.
A Lennie piace accarezzare le cose morbide: topi, conigli, cagnolini. E non capisce che sono troppo fragili per le sue manone, tanto che finisce per ucciderli, spezzando loro il collo. L'ultima volta, poi, è stato accusato di violenza da una ragazza e lo volevano linciare: tutto perché lei portava un vestito rosso e lui voleva toccarlo. Quando ne ha afferrato un lembo, lei ha iniziato a urlare e Lennie si è spaventato. Quando si spaventa, però, si blocca, immobile, a occhi sbarrati, senza saper che fare, e non ha il riflesso di mollare la presa. Sono scappati, lui e George. Mettere da parte del denaro, così, non è tanto facile e quando arrivano a questa nuova fattoria, George spera che non ci saranno guai. Hanno solo dieci dollari, finora: arrivare a seicento è dura.
Tuttavia, le speranze di George andranno ben presto deluse: Lennie troverà la sua nemesi in Curley, il figlio del padrone, che, essendo piccolo di statura e svelto di mano, cerca di attaccare briga con lui perché è molto alto e, soprattutto, con la moglie di Curley, che ha il vizio di andarsene in giro provocando i braccianti ed esasperando così il carattere già difficile del marito. Un raggio di speranza, però, si ha quando Candy, un vecchio senza una mano che svolge umili lavori alla fattoria, si offre di condividere il sogno di Lennie e George: ha trecentocinquanta dollari da parte, lui, e George è convinto che, con quattrocentocinquanta in contanti e sull'unghia, quella piccola casetta potrebbe davvero essere loro.
Avere un posto dove stare, senza dover vagare in cerca di lavoro, senza che nessuno possa mandarti via...
A questo punto, smetto di spoilerarvi. Biecamente, spero di avervi incuriosito.
Se non l'avete letto, fatevi un favore, leggetelo. Non perdetevi un capolavoro assoluto.

Dove trovarlo?
In cartaceo e in italiano, forse qualche libreria. C'è l'edizione Bompiani (con la traduzione di Cesare Pavese) fra i Tascabili Narrativa e la portate via per poco. (Io ne ho una vecchissima edizione - sempre Bompiani - che era della mia nonna: non so di quando sia, ma il prezzo in copertina è milleduecento lire.)
La stessa Bompiani ha messo fuori anche l'edizione digitale: costa quattro euro e novantanove (per una volta un prezzo decente). A quel prezzo lo trovate anche in inglese su Amazon, mentre l'edizione digitale Penguin (da Kobobooks) costa quasi otto euro.

Uomini e topi - John Steinbeck, 1937


martedì 4 giugno 2013

Chiavi di ricerca

Di solito non le guardo, le chiavi di ricerca. 
Però mi ci è cascato l'occhio e cosa ho notato?
  • Che parecchia gente non ha capito il season finale del Dottore:  "doctor who 7x13" (questo mi sa cercava l'episodio da scaricare), "recensione doctor who 7x13", "spiegazione The Name of The Doctor", "The Name of the Doctor recensione", "qualcuno ha capito The Name of The Doctor". Sembra il periodo immediatamente successivo all'uscita di Cloud Atlas. Moffat, due parole per te: EPIC FAIL!
  • A seguire, c'è Once Upon a Time: "once upon a time 2x19", "lei mi amerà once upon a time", (ah, cara, lo dice Rumplestiltskin, questo. Chi cerca una roba del genere deve essere una donna. Per forza) "once upon a time chi è tamara" (una grandissima stronza?), "once upon a time che fine fa tamara" (spero brutta).
  • Il nome del blog continua a generare confusione: "parietaria officinalis", "parietaria", "tensione sotto parietaria" (questa me la dovrebbe spiegare) e la migliore di tutti "poteri della parietaria" (io sono onnipotente, non lo sapevi?).
  • "Ralph Fiennes" mi regala un po' di visite: niente male come attrazione!
  • Qualcuno cerca "attore del film le donne della terra sono belle". Era Le ragazze della Terra sono facili, dearie. E lui si chiama Jeff Goldblum. Ma c'era pure un Jim Carrey agli esordi.
  • Anche i libri sono una scusa per approdare qui: "amelia peabody e il faraone assassino" (bravo/a! Un libro divertente), "palombari storie" (evita di ordinare L'artiglio ha confessato: io ho pagato e la casa editrice che lo ristampa non me l'ha mai spedito, nonostante telefonate e solleciti). Infine, qualcuno deve essere bacchettato: "l'assassino de il mio nome è rosso"... ciccio, leggitelo!
  • Menzione speciale per "candy candy sfiga". Ne aveva parecchia, la ragazza. Ma siccome non la sopporto, le ho augurato di peggio.
  • Per l'angolo del geGno: "astronavi spaziali". Sono astronavi, bello. Dove credi che viaggino? Sott'acqua?
  • Fuori concorso causa imbecillità: "cybermene gay", che coniuga errore di ortografia, strisciante contenuto omofobico e perversione mentale in un colpo solo. Complimenti, chiunque tu sia. Sei appena stato eletto scemo del villaggio virtuale.



Broadchurch

Io vorrei sapere perché in Italia non fanno serie così.
No, davvero, lo vorrei sapere. Serie come questa. O, altro bell'esempio, Wallander. (Sì, c'è Tom Hiddleston, ma non è la ragione principale per cui l'ho guardata. Davvero! Fa una parte piccolissima, un personaggio un po' insulso e parla pochissimo, quindi anche il meraviglioso accento inglese si sente ben poco.)
Il fatto è che all'estero i prodotti per la televisione sono - non tutti, ovviamente, qualche ciofeca ci sarà pure - ben scritti, ben girati e ben recitati.
Non è per fare l'esterofila a tutti i costi, ma, a volte, mi capita di inciampare in un pico-fotogramma (non di più, perché cambio immediatamente) di qualche ficscion nostrana e, diciamocelo, c'è da vergognarsi. (Sì, poi c'è Boris che alza la media, ma 'nsomma...).
Comunque, a parte il pippone introduttivo che mi è proprio scappato di mano, volevo parlarvi di Broadchurch.
Ci sono arrivata per via del protagonista, David Tennant. Rimango "affezionata" agli attori che mi sono piaciuti e il suo Ten mi è piaciuto tanto! Secondo me, in Broadchurch lui ha fatto davvero un ottimo lavoro. La sua interpretazione mi ha impressionata.
 In realtà, di attori reduci da Doctor Who ce ne sono diversi: Arthur "Rory Williams" Darvill (alla sua prima prova post-Dottore) che interpreta - e alla grandissima! - Paul, il vicario della cittadina di Broadchurch, Olivia Colman, la co-protagonista, che ha prestato il volto a Prisoner Zero nella prima avventura dell'Undicesimo Dottore. E vogliamo parlare di David Bradley, al secolo Argus Gazza, che è stato lo spregevole Solomon di Dinosaurs on a Spaceship (e anche Walder Frey in Games of Thrones, visto giusto nel chiacchieratissimo episodio nove della terza serie)?
Ma, a parte il cast, Broadchurch mi ha colpito perché è ben scritto.
La vicenda parte da premesse semplici, verrebbe da dire quasi "banali", se non fosse molto cinico visto che girano intorno all'omicidio di un bambino. Comunque, succede che una bella mattina, la cittadina di Broadchurch ha un brusco risveglio: sulla spiaggia, proprio sotto le alte scogliere che sono una delle attrazioni turistiche, viene ritrovato il corpo di Danny Latimer, undici anni.
Ad occuparsi del caso sono il DI Alec Hardy (Tennant) e la DS Ellie Miller (la Colman). Lui è appena arrivato in città e di certo non è il tipo che si fa voler bene: è brusco, cinico, disilluso e con le persone non ci sa proprio fare. In più, ha preso il posto che era stato promesso alla Miller, la quale certo non l'ha presa bene. La comunità di Broadchurch è piccola e molto unita, quindi lui rimarca spesso alla Miller che si fida troppo delle persone, che si fa fuorviare dai sentimenti che prova nei loro confronti. Lo svolgimento delle indagini porterà alla luce i segreti di queste persone e incrinerà per sempre la facciata di "cittadina perfetta".
Potrebbe ricordare un po' Twin Peaks, detto così (con molta meno roba a-la David Lynch), Broadchurch è un prodotto solido, perché poggia sui personaggi e sulle loro motivazioni recondite, che li portano a fare - o non fare - alcune cose. A  mentire. O a omettere. Ciascuno di loro, dai due detective, ai familiari di Danny, passando per i concittadini che fanno parte della loro cerchia, sono ottimamente caratterizzati. Tutti hanno la loro storia, che è loro, privata, e che fino all'ultimo vogliono evitare di rivelare a occhi - e orecchie - estranei
L'intelligenza della trama è il non rivelare mai, fino all'ultimo, l'identità dell'assassino. Segui tutti e gli otto episodi con il fiato sospeso, un po' perché vuoi sapere (ovviamente) chi ha ucciso Danny e un po' perché vuoi sapere se Hardy arriva alla fine vivo o no.
Quando scopri chi è stato - e io non ve lo dico, tranquilli - non solo ci rimani perché non te lo aspetti, ma ti rendi conto di tutta una serie di parallelismi che solo con la rivelazione della sua identità vengono alla luce in pieno. Mirroring fra personaggi che, di volta in volta, si scambiano le posizioni, passando da accusatore a vittima (e non solo per quanto riguarda l'omicidio). L'analisi delle dinamiche sociali di questo ristretto gruppo di persone, il modo in cui si comportano come un branco assetato di sangue quando pensano di avere un sospettato, per poi lavarsi allegramente le coscienze al suo funerale... è realistico. Tristemente.
Vorrei spendere due parole anche per la regia. È noto che non me ne intendo, ma le scene, la fotografia, l'uso delle luci e del paesaggio - con il continuo sottofondo del mare - mi hanno davvero lasciata a bocca aperta.
Guardarla è stato un piacere. Fossi in voi, le darei una possibilità.

domenica 2 giugno 2013

Un nuovo Dottore.

Un po' me lo aspettavo, eh. C'era stata troppa enfasi nel rassicurare i fan che Matt Smith aveva firmato per l'ottava stagione e diffido sempre quando mi sbandierano qualcosa sotto il naso con tanto impegno. (Sono una persona contorta, lo so).
Comunque, stavolta avevo ragione e infatti è notizia di ieri - fonte BBC - che Smith lascerà la serie dopo lo speciale di Natale.
A quanto ho capito, le reazioni in rete vanno dal "finalmente se ne va, non l'ho mai sopportato, fate tornare David Tennant", al "sono disperato/a, era il mio Dottore", passando per il (francamente incomprensibile) "è un traditore, come può andarsene?".
Quanto a me... la cosa non mi tocca più di tanto. L'Undicesimo Dottore non mi è mai piaciuto, quindi sono contenta del cambiamento. E curiosa di sapere chi sceglieranno per interpretare il Dodicesimo. Sarà finalmente rosso di capelli? O magari sarà una donna.
In ogni caso, quello che non sopporto, e l'ho già detto più volte, è il modo di Moffat di gestire la main storyline e non penso che quello cambierà. Magari...

sabato 1 giugno 2013

I miti della Parietaria 4: Jane Eyre - Charlotte Brontë

Una volta le eroine, per essere rivoluzionarie, avevano un cervello.
E sono partita polemica.
Uno dei miei libri preferiti di sempre è Jane Eyre e sapete perché?
No, non è perché Mr.Rochester è uno degli esseri bidimensionali più affascinanti che siano mai usciti da una penna (lo è, accidenti se lo è, batte pure Mr.Darcy!), ma per via di Jane.
All'inizio del libro, Jane è una bambina orfana, bruttina e vive a Gateshead in una casa nobiliare nella quale tutti - dalla padrona, la signora Reed, che è sua zia, giù giù per la scala sociale fino ai servitori - la disprezzano. Pensano che sia una bambina bugiarda e cattiva. I cugini - più o meno della sua età - la tormentano, a volte il più grande la picchia anche. Storia degna di Candy Candy, no? (Vabbé, a parte la Casa di Pony). 
A un certo punto, Jane viene mandata via - in barba alla promessa di trattarla come una figlia, fatta dalla zia al marito morente - e approda a Lowood, un istituto per figlie della carità. Lowood è, quanto a condizioni ambientali, peggio senz'altro di Gateshead: umido, freddo, il vitto fa schifo, le regole cui le ragazze sono tenute a sottostare - dal Reverendo Brocklehurst, fulgido esempio di chi predica bene e razzola male - sono ispirate, si direbbe, all'Antico Testamento. Ma lì Jane è felice, perché, a testimonianza che la malizia è nell'occhio di chi guarda, nessuno la ritiene cattiva.
Ora, facciamo una piccola pausa. Vorrei farvi notare che fin qui, le vicende di Jane sono un concentrato di sfiga gratuita, anzi, in offerta speciale prendi tre e paghi due (ne ho omesso un bel po', fra l'altro). Però, a differenza di Candy Candy - che detesto dal più profondo del cuore e alla quale, potendo, spezzerei le rotule un giorno sì e l'altro pure - non sono pesanti. 
Perché? Perché Jane - o meglio la sua creatrice - ce le presenta così, nude e crude, e non calca la mano cercando l'effetto lacrimuccia facile. Non ci dice nemmeno che Jane è perfetta: non è una vittima innocente, è una bambina dal carattere impulsivo e passionale, che dice ciò che pensa senza filtri e senza ipocrisie. Non si piega alle convenzioni sociali - o, semplicemente, ad adottare il comportamento che le farebbe più comodo - non è bugiarda, è sincera oltre il limite consentito dalla società. Paragonata con i cugini, che bugiardi lo sono perché di fronte alla madre nascondono meschinità e marachelle, appare un pessimo soggetto.
Ma torniamo alla nostra storia. Nonostante sia un posto orrendo, a Lowood Jane inizia a sbocciare: nessuno la taccia di essere cattiva e bugiarda, ha un'insegnante che sa trattare con lei e trarne il meglio, finalmente è libera dal tormento di stare con persone che non la amano e che lei non ama. 
Quando la ritroviamo, otto anni dopo, è diventata una signorina istruita, compita e posata, con un'offerta di lavoro: fare l'istitutrice, in un posto che si chiama Thornfield Hall.
Jane ha sepolto la passionalità e il fuoco del suo carattere sotto una colata di autocontrollo: sa che, una volta fuori da Lowood, non potrà contare su nessuno, se non su se stessa e sulla sua intelligenza e che non può in nessun modo permettersi colpi di testa. Ha diciotto anni e l'aplomb di una signora di cinquanta. Ma, sotto questa superficie così solida, si agitano le fantasie e i sogni adatti alla sua età, che lei rivela solo quando dipinge e disegna. Quello è il suo unico sfogo.
In un mondo regolato da convenzioni sociali ben precise e nel quale esistono "discorsi da uomini" e "discorsi da donne", Jane non è una donna per tutti: è troppo intelligente e troppo indipendente. Ecco perché per lei ci vuole qualcuno che sia diverso dagli altri. E questo qualcuno si rivela essere Mr.Rochester, il proprietario di Thornfield Hall.
Una ben strana figura, questo Mr.Rochester: a Thornfield viene molto poco e, spesso, quando si parla con lui, non si capisce se scherzi o dica sul serio, la avvisa Mrs.Fairfax, la governante. Ma Jane non è curiosa: che ci sia o non ci sia il padrone, non è affar suo: lei deve badare a istruire Adéle, la bambina francese che è lo scopo della sua presenza lì.
L'arrivo di Mr.Rochester, però, cambia tutto: lui non è un giovanotto di primo pelo, ma un signore di una certa età - per l'epoca, comunque ha il doppio dei suoi anni - e le loro conversazioni vertono più su arte e filosofia che su chiacchiere spicciole. Lui sembra divertirsi per quel curioso mix di cortesia e brutale sincerità che è questa istitutrice e Jane, finalmente, trova una persona intellettualmente stimolante. Non sembrano importargli, oltre alle differenze di età e sesso, quelle di classe sociale.
Jane ne rimane sbalordita e affascinata e la sua devozione cresce. Per la prima volta, sente di appartenere a un luogo, quasi a una famiglia. Ma, presto, prova sulla sua pelle ciò che Mrs.Fairfax le aveva anticipato: a volte lui la cerca per conversare, a volte la ignora platealmente. E quando decide di invitare - per la prima volta da anni - una comitiva di ricchi e nobili amici a Thornfield, l'abisso sociale fra i due si spalanca. Anzi, è come se lui, deliberatamente, l'avesse fatto riaprire, dopo che, concedendo confidenza a una sua dipendente, l'aveva chiuso. 
Quello di Rochester è un gioco crudele, fatto a spese di Jane, una Jane che soffre perché ha capito perfettamente cosa, suo malgrado, le sia successo: si è innamorata di lui. A posteriori - sapendo tutto ciò che succede e perché - trovo che questo atteggiamento sia crudele per lui non meno che per lei. Non viene mai detto - il punto di vista è sempre di Jane, data la narrazione in prima persona - ma credo che, così facendo, lui tenti di allontanarla da sé perché si è accorto che è importante e perché ha un ostacolo assai più grave della differenza sociale che le impedisce di averla al suo fianco.
Jane ha una dirittura morale che Rochester non possiede: fra i due, è lui il più debole e, infatti, cede alla tentazione: le chiede di sposarlo. Lei, felice e stupita, accetta, senza sapere che lui non può assolutamente farlo. Quando l'inganno viene scoperto, nella maniera peggiore, Jane ancora una volta precipita e deve ricostruire se stessa. Ma è fatta di una tempra ben più forte di quella delle eroine di oggi: non esita un attimo, non si concede il tempo di pensare, perché, altrimenti, sa che rischierebbe di restare, e non è possibile. Jane fugge. Da Thornfield, l'unico posto in cui finora si è sentita a casa, e dall'uomo che ama.
Perché, come, cosa succede dopo e, soprattutto, come va a finire non ve lo dico. Probabilmente lo saprete già: il libro è un capolavoro della narrativa e, se non l'avete letto (ma dubito), avrete sicuramente visto o un film, o una serie: gli adattamenti cinematografici si sprecano. 
(Per parte mia, ho apprezzato moltissimo quello di Zeffirelli, con Charlotte Gainsbourg nella parte di Jane e William Hurt in quella di Mr.Rochester: trama e dialoghi sono fedelissimi al libro. E poi, l'autrice lo ribadisce più volte: né Jane, né Rochester sono belli. Non mettetemici una coppia di stra-fighi, per favore).
Diciamo che, se devo rivolgere una critica all'autrice, è questa: il modo in cui i Rivers - la famiglia che accoglie Jane in fuga - si rivela essere quello che è, ecco, sa un po' di deus ex machina. Le cose sarebbero andate lisce anche senza quel particolare, ma è una nota da vera pignola.
A parte questo (anzi, pure con questo), Jane Eyre è un assoluto capolavoro, nel quale, oltre alla storia d'amore, si trovano accenni da romanzo gotico e pure un inquietante mistero, per via della strana Grace Poole e delle risate selvagge che ogni tanto risuonano nel silenzio della notte a Thornfield Hall.
Insomma, da leggere (e ri-leggere, e ri-leggere, e ri-leggere...)

Dove trovarlo? 
In cartaceo, in libreria. Anche questo ha un'ampia diffusione. Si trova anche qui a Spezia e, se si trova qui, lo si può trovare ovunque!
In digitale e in italiano ce ne sono per tutti i prezzi, come potete vedere qui.  Io ho, oltre il cartaceo in una vecchia edizione della Biblioteca Economica Newton (quelli gialli e verdi che costavano la cifrona di ben duemila lire), l'edizione Rizzoli BUR a novantanove centesimi. Non è perfetta: ci sono un po' di refusi, tipo una parola attaccata alla seguente, ma va più che bene così.
In inglese vi linko questa pagina da Kobobooks.com, anche qui, ne trovate per tutte le tasche. Non avendolo (ancora) letto in lingua non vi so dire se sia difficile o meno. Trovo interessante, però, il volumone che raggruppa Agnes Grey, Jane Eyre e Wuthering Heights: tutte e tre le sorelle in un unico pacchetto.

Infine, una segnalazione "esterna": il bel libro Il caso Jane Eyre di Jasper Fforde. Di solito, diffido dai sequel o dalle ri-utilizzazioni più o meno autorizzate, ma in questo caso vale la pena.

Jane Eyre - Charlotte Brontë, 1847